Date una mano all’87° Distretto – Ed McBain
DATE UNA MANO ALL’87° DISTRETTO (Give the Boys a Great Big Hand)
di Ed McBain
ed. Giallo Mondadori 1275
Traduzione di Andreina Negretti
I grandi scrittori sono capaci di creare un mondo, di raffigurare personaggi che si muovono in modo autonomo, che hanno una vita propria che va al di là delle pagine scritte. Lo scrittore di razza è cioè capace di scrivere di uomini e donne che non terminano la loro esistenza tra le righe e i paragrafi di un romanzo, ma anche una volta chiuso il libro, terminata la storia, continuano a vivere, a fare cose, a pensare. Ad avere un’essenza.
Ed McBain è sicuramente tra questi grandi, in particolare grazie a quel mondo parallelo che è l’87° distretto, un dipartimento di polizia immaginario – ma realissimo – che si muove in una città inesistente chiamata l’Isola ma che presenta ben più di una affinità con New York, sia per quel che riguarda il contesto sociale sia per, più banalmente, il suo aspetto topografico. Nei gialli di McBain non c’è un investigatore, un singolo in grado di ribaltare la vicenda e smascherare l’assassino, bensì un intero distretto di polizia, un gruppo di poliziotti di vario grado e capacità che si muovono dentro una gabbia urbana mai tranquillizzante. Se Steve Carella è forse il personaggio più carismatico e in grado di catturare maggiormente l’attenzione tanto dello scrittore quanto del lettore, è l’insieme di personalità ad essere protagonista dei romanzi del prolifico autore italo-americano, come nel “recente” Date una mano all’87° distretto, numero 1275 dei classici del Giallo Mondadori.
Quando l’agente semplice Richard Genero, in una serata piovosa e fredda, vede una figura abbandonare alla fermata dell’autobus una borsa, potrebbe anche voltare i tacchi e andare a spillare il solito bicchiere di vino dall’amico commerciante poco lontano. Invece il dovere chiama e la mano mozzata che vi trova dentro sarà in grado di mettere in subbuglio l’87° distretto, sguinzagliando i suoi migliori detective per tutta la città a caccia di informazioni che possano dare un nome tanto alla vittima quanto al suo assassino. Scavando nei sobborghi abitati da immigrati e lavoratori sorti come funghi grazie alle opportunità di lavoro offerte da una città in espansione e foriera di mille e più speranze, Carella e colleghi affonderanno il naso in un mare di non detti, di piccole miserie e ambiguità celate sotto il tappeto ordinato di casa.
McBain può probabilmente essere ritenuto, e a ragione, il padre fondatore del romanzo procedural, uno stile narrativo che esula dal colpo di genio e dalla sfida intellettuale di un detective o di una vecchietta particolarmente ficcanaso per calarsi con tutte le braghe nella vera attività investigativa svolta dai veri poliziotti, con le sue false piste, i depistaggi e l’ormai classicissimo brancolare nel buio. McBain ricrea un mondo, come dicevamo in apertura, non rinunciando, però, allo sviluppare in parallelo più storie tenute insieme da una componente prevalentemente gialla che fa da filo rosso per l’intera vicenda posizionandolo, e lì facendolo rimanere, come un autore di genere di assoluto talento.
Ma lo scrittore newyorchese non rinuncia neanche all’entrata a piedi uniti, all’intervento del tutto personale e, a volte, addirittura, metaletterario: “Forse non è bene che un poliziotto abbia di questi pensieri, pensò Hawes, perché il poliziotto è proprio uno dei personaggi di fantasia offerti da uno dei tanti modi di evasioni: il romanzo giallo. “Il guaio è” pensò Hawes “che solo il poliziotto dei romanzi è un eroe. Il poliziotto vero è soltanto un uomo”” [pg. 75]. E proprio queste quattro righe rappresentano la misura dell’intera opera gialla di McBain, un tentativo di sottrarre il genere dalle fantasie irrealistiche di tanta letteratura, per quanto divertente e interessante, per avvicinarla alla realtà. La realtà, quindi, non è fatta da Batman, da supereroi, da uomini soli al comando, ma da schiere di mediocri lavoratori, di gente normale con le proprie esperienze, la propria personalità e vita privata. Se questo romanzo, Date una mano all’87° distretto, è del 1960, degli anni ‘30 sono le “scoperte” di Mayo, lo psicologo fondatore della scuola delle risorse umane, un nuovo modo di intendere le relazioni lavorative che dal taylorismo e dal fordismo meccanicistico che pongono l’individuo in un ruolo meramente subordinato nelle sue vesti di erogatore di forza lavoro, ora diventano soggetti, unicità dotate di ambizioni, aspirazioni, ideali, sogni e, soprattutto, una vita privata.
Carella, quindi, oltre a indagare può anche litigare con la moglie sordomuta, essere stanco e incazzato perché il suo lavoro è una merda e la merda, si sa, schizza. Allo stesso modo personaggi che vanno e vengono dai romanzi sull’87° distretto come Peter Byrnes, Cotton Hawes, Meyer Meyer, Bert Kling, Andy Parker o Frankie Hernandez possono innamorarsi della donna sbagliata, fare cazzate, prendersi a pugni, evidenziare una mentalità razzista o altruista, fare a pugni per difendere un compagno o, semplicemente, starsi sulle palle a vicenda. È l’imperfezione, così umana, a essere al centro della scrittura di Ed McBain, autore che amo alla follia e precursore di quel Joseph Wambaugh che anni dopo darà vita a un altro dipartimento di polizia narrando le gesta corali di chi, tra quelle mura, vi lavora. Wambaugh supera McBain, forse anche grazie alla non necessità di scrivere per vivere, diversamente dal secondo, autore che solo per leggere tutta la sua bibliografia ci vorrebbe un vita e mezza. Ma scrittore che, allo stesso tempo, se non letto non ci farebbe conoscere una parte di quella stessa vita che ci gira intorno.
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