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Date una mano all’87° Distretto – Ed McBain

Date una mano all’87° distretto

DATE UNA MANO ALL’87° DISTRETTO (Give the Boys a Great Big Hand)
di Ed McBain
ed. Giallo Mondadori  1275
Traduzione di Andreina Negretti

I grandi scrittori sono capaci di creare un mondo, di raffigurare personaggi che si muovono in modo autonomo, che hanno una vita propria che va al di là delle pagine scritte. Lo scrittore di razza è cioè capace di scrivere di uomini e donne che non terminano la loro esistenza tra le righe e i paragrafi di un romanzo, ma anche una volta chiuso il libro, terminata la storia, continuano a vivere, a fare cose, a pensare. Ad avere un’essenza.

Ed McBain è sicuramente tra questi grandi, in particolare grazie a quel mondo parallelo che è l’87° distretto, un dipartimento di polizia immaginario – ma realissimo – che si muove in una città inesistente chiamata l’Isola ma che presenta ben più di una affinità con New York, sia per quel che riguarda il contesto sociale sia per, più banalmente, il suo aspetto topografico. Nei gialli di McBain non c’è un investigatore, un singolo in grado di ribaltare la vicenda e smascherare l’assassino, bensì un intero distretto di polizia, un gruppo di poliziotti di vario grado e capacità che si muovono dentro una gabbia urbana mai tranquillizzante. Se Steve Carella è forse il personaggio più carismatico e in grado di catturare maggiormente l’attenzione tanto dello scrittore quanto del lettore, è l’insieme di personalità ad essere protagonista dei romanzi del prolifico autore italo-americano, come nel “recente” Date una mano all’87° distretto, numero 1275 dei classici del Giallo Mondadori.

Quando l’agente semplice Richard Genero, in una serata piovosa e fredda, vede una figura abbandonare alla fermata dell’autobus una borsa, potrebbe anche voltare i tacchi e andare a spillare il solito bicchiere di vino dall’amico commerciante poco lontano. Invece il dovere chiama e la mano mozzata che vi trova dentro sarà in grado di mettere in subbuglio l’87° distretto, sguinzagliando i suoi migliori detective per tutta la città a caccia di informazioni che possano dare un nome tanto alla vittima quanto al suo assassino. Scavando nei sobborghi abitati da immigrati e lavoratori sorti come funghi grazie alle opportunità di lavoro offerte da una città in espansione e foriera di mille e più speranze, Carella e colleghi affonderanno il naso in un mare di non detti, di piccole miserie e ambiguità celate sotto il tappeto ordinato di casa.

McBain può probabilmente essere ritenuto, e a ragione, il padre fondatore del romanzo procedural, uno stile narrativo che esula dal colpo di genio e dalla sfida intellettuale di un detective o di una vecchietta particolarmente ficcanaso per calarsi con tutte le braghe nella vera attività investigativa svolta dai veri poliziotti, con le sue false piste, i depistaggi e l’ormai classicissimo brancolare nel buio. McBain ricrea un mondo, come dicevamo in apertura, non rinunciando, però, allo sviluppare in parallelo più storie tenute insieme da una componente prevalentemente gialla che fa da filo rosso per l’intera vicenda posizionandolo, e lì facendolo rimanere, come un autore di genere di assoluto talento.

Ma lo scrittore newyorchese non rinuncia neanche all’entrata a piedi uniti, all’intervento del tutto personale e, a volte, addirittura, metaletterario: “Forse non è bene che un poliziotto abbia di questi pensieri, pensò Hawes, perché il poliziotto è proprio uno dei personaggi di fantasia offerti da uno dei tanti modi di evasioni: il romanzo giallo. “Il guaio è” pensò Hawes “che solo il poliziotto dei romanzi è un eroe. Il poliziotto vero è soltanto un uomo”” [pg. 75]. E proprio queste quattro righe rappresentano la misura dell’intera opera gialla di McBain, un tentativo di sottrarre il genere dalle fantasie irrealistiche di tanta letteratura, per quanto divertente e interessante, per avvicinarla alla realtà. La realtà, quindi, non è fatta da Batman, da supereroi, da uomini soli al comando, ma da schiere di mediocri lavoratori, di gente normale con le proprie esperienze, la propria personalità e vita privata. Se questo romanzo, Date una mano all’87° distretto, è del 1960, degli anni ‘30 sono le “scoperte” di Mayo, lo psicologo fondatore della scuola delle risorse umane, un nuovo modo di intendere le relazioni lavorative che dal taylorismo e dal fordismo meccanicistico che pongono l’individuo in un ruolo meramente subordinato nelle sue vesti di erogatore di forza lavoro, ora diventano soggetti, unicità dotate di ambizioni, aspirazioni, ideali, sogni e, soprattutto, una vita privata.

Ed McBain

Carella, quindi, oltre a indagare può anche litigare con la moglie sordomuta, essere stanco e incazzato perché il suo lavoro è una merda e la merda, si sa, schizza. Allo stesso modo personaggi che vanno e vengono dai romanzi sull’87° distretto come Peter Byrnes, Cotton Hawes, Meyer Meyer, Bert Kling, Andy Parker o Frankie Hernandez possono innamorarsi della donna sbagliata, fare cazzate, prendersi a pugni, evidenziare una mentalità razzista o altruista, fare a pugni per difendere un compagno o, semplicemente, starsi sulle palle a vicenda. È l’imperfezione, così umana, a essere al centro della scrittura di Ed McBain, autore che amo alla follia e precursore di quel Joseph Wambaugh che anni dopo darà vita a un altro dipartimento di polizia narrando le gesta corali di chi, tra quelle mura, vi lavora. Wambaugh supera McBain, forse anche grazie alla non necessità di scrivere per vivere, diversamente dal secondo, autore che solo per leggere tutta la sua bibliografia ci vorrebbe un vita e mezza. Ma scrittore che, allo stesso tempo, se non letto non ci farebbe conoscere una parte di quella stessa vita che ci gira intorno.

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Il Giallo Mondadori si rifà il trucco. E io mi becco Ed McBain!

Date una mano all’87° distretto

C’è chi va, come Sergio Alan D. Altieri…

Care Lettrici, Gentili Lettori,come sempre, un sentito ringraziamento a tutti Voi per seguire il Giallo Mondadori con l’assiduità e con l’affetto — passatemi l’espressione — che continuate a dimostrare nel tempo. Il mio ringraziamento va anche a Dario Geraci, nostro eccezionale blogmaster, per l’attenzione e il controllo con i quali tiene gli ingranaggi web in movimento. Continuando a parlare di ingranaggi e di movimento, come tutti noi sappiamo, things change, le cose cambiano. Perché è giusto che debbano cambiare, perché e naturale che cambino. Il che mi porta alla, well, chiamiamola “notizia del giorno”: Dalla data del 1 luglio 2011, il Giallo Mondadori e i Classici del Giallo — entrambe le collane in una veste editoriale e grafica del tutto rinnovata — avranno anche un nuovo Editor. Questo Editor è Franco Forte, uomo di profonda integrità, autore di eccezionale versatilità, editoriale di ineguagliabile professionalità. Nessuno meglio di Franco Forte saprà continuare la storica tradizione iniziata dal leggendario Alberto Tedeschi e continuata da straordinarie figure di autori ed editori quali Laura Grimaldi e Oreste Del Buono. Da parte mia, desidero ringraziare profondamente Mondadori Editore per avermi dato l’opportunità umana e professionale pressoché unica di seguire queste grandi collane su un arco di quasi sei anni. A Franco Forte, non solo amico fraterno ma anche compagno di avventure nell’immaginario, va tutta la mia stima e tutto il mio sostegno per la responsabilità che sta assumendo. A tutti voi care Lettrici e gentili Lettori, tutto il mio apprezzamento e, di nuovo, tutto il mio affetto in questa lunga cavalcata che abbiamo compiuto fianco a fianco.

… e c’è chi viene, come Franco Forte:

Gentili Lettrici e Lettori, da parte mia solo poche parole, prima di tutto per ringraziare Mondadori, e nello specifico il Direttore Editoria di Catalogo, Antonio Riccardi, per la fiducia che mi è stata accordata, ma soprattutto l’editor che avrò l’onore di sostituire, Sergio Altieri, un professionista come se ne conoscono pochi nel nostro Paese, uno scrittore di razza, un traduttore sopraffino e una persona di grande valore, un amico a cui sono debitore per le mille opportunità che mi ha voluto riservare durante questo nostro lungo percorso di amicizia e di rapporti professionali. Sergio è un uomo straordinario, dai valori solidi e dalla generosità impagabile, ed è soprattutto sotto questo profilo che la sfida, per me, sarà difficile: restare nel solco tracciato da una persona del genere non è impresa da tutti. D’altra parte, ho accettato con entusiasmo l’idea di occuparmi delle collane da edicola Mondadori convinto di poter trasfondere in questo lavoro la passione, la competenza e la professionalità che ho acquisito negli anni, per dare un impulso alle collane storiche che mi hanno accompagnato fin dall’infanzia; e dunque l’incarico, per quanto gravoso, non mi spaventa. Di certo mi rassicura sapere che Sergio continuerà a lavorare con noi come autore, come traduttore, come consulente a tutto campo, consentendoci di poter attingere ancora alla sua esperienza e alle sue capacità per rendere sempre migliori le collane che sono cresciute sotto la sua guida e la cui responsabilità, adesso, ricade sul sottoscritto. Ma la sfida, per quando ardua, è affascinante, e chi mi conosce sa che non sono tipo da tirarmi indietro, anzi… più il gioco si fa duro, più mi piace rimboccarmi le maniche e darmi da fare per raggiungere il livello successivo. Cosa che conto di fare anche in questo caso, tranquillizzato dalla consapevolezza che Sergio continuerà a restare un elemento fondamentale della nostra squadra. Squadra che è ampia e di grande valore, e che ringrazio fin da adesso per il supporto che saprà darmi in questa nuova avventura, e per l’aiuto fondamentale che mi servirà per oliare fin da subito l’ingranaggio editoriale, in modo da proseguire spediti lungo i percorsi già tracciati, pronti però ad aprirne di nuovi non appena ce ne sarà l’occasione. Con i suggerimenti e i contributi di tutti, soprattutto dei Lettori. Grazie.

Ora, a chi come me legge il Giallo Mondadori non è freghi più di tanto chi è l’editor e perché ci sono i cambi. Forse perché così è la vita, come diceva Altieri, forse perché quello che conta è leggere buoni libri e basta. Però questa è una notizia – i testi riportati sono presi dal blog ufficiale del Giallo Mondadori, dove è apparsa la notizia. Franco Forte saprà sicuramente portare avanti con altrettanta competenza il GM, nonostante tutte le difficoltà che questo sta attraversando e nonostante le scelte editoriali – di Altieri o di Maurizio Costanzo o di chissà chi – in questi anni non siano state proprio scevre da potenziali critiche. Personalmente seguo questa collana Mondadori quasi esclusivamente per I classici del Giallo Mondadori che mi consentono di acquistare a pochissimi euro autori storici e colonne del genere. Credo che non cambierà molto, da questo punto di vista, anche se qualche nuova traduzione è sempre auspicabile, benché sappia che Forte non avrà grandi poteri di scelta in questo campo e che, al massimo, potrà puntare ancora di più sul romanzo storico, di cui è pure un affermato autore e di cui io, all’opposto, non sono un grande estimatore, almeno per quel che riguarda il giallo. Già Altieri, comunque, con i gialli storici non scherzava, proponendone numerosi. Vedremo.

La buona notizia di questo mese, invece, è la mole e la qualità dei Classici proposti, tra l’altro in una nuova veste editoriale e settanta centesimi in più sul prezzo di copertina. Si vuole tornare al passato, a un format più fedele all’originale, discostandosi dal tascabile da edicola per approdare a qualcosa di più. E, infatti, per la prima volta il GM approderà anche nella grande distribuzione, nel tentativo di allargare le proprie quote di mercato. Basterebbe, forse, continuare a proporre autori e romanzi come quelli di questo mese di luglio – praticamente tutti da prendere – e chissà che le cose non possano cambiare in meglio. La scelta è ampia ma io, per me, mi sono fiondato, il giorno stesso dell’uscita in edicola, su Date una mano all’87° distretto di Ed McBain, autore che amo moltissimo. E voi, invece, che titolo avete acquistato?

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Ciao ciao Supergiallo

E’ un delitto! di Richard Ellington

Supergiallo? Sei stato nominato. Anzi, no. Sei fuori dalla Caaaaasa. È laconico il messaggio apparso sul blog del Giallo Mondadori a firma di Sergio Altieri, editor del GM e dei Classici del Giallo: “Venendo all’argomento di questo mio messaggio, nell’ambito di una prospettiva in perenne mutamento qual è quella dell’editoria in generale, dell’editoria periodica in particolare, i cambiamenti sono pressoché inevitabili.  È in questa prospettiva, non negativa ma semplicemente innovativa, che — con il corrente anno 2011 — è stato deciso di terminare le pubblicazioni della collana Supergiallo, collana concepita — per usare una terminologia da “addetti ai lavori” — a bassa periodicità,  Supergiallo ha proposto soprattutto opere italiane e straniere di natura antologica. Al tempo stesso, questo non significa affatto che le antologie scompariranno dal Giallo Mondadori: nessun Autore verrà lasciato indietro e nessun progetto andrà perduto.”

Il Supergiallo, erede editoriale di “”Ellery Queen presenta”, negli anni aveva pubblicato antologie con i racconti di, in particolare, autori italiani più o meno famosi e più o meno capaci. L’ultima pubblicazione – e qui è proprio il caso di sottolineare il duplice significato della parola “ultima” – era profeticamente intitolata Eros e Thanatos, antologia interamente dedicata a racconti firmati da scrittrici con un inquietante riferimento al dio della morte figlio di Erebo e della Notte che col senno di poi di cui son piene le fosse ammiccava a ben più inquietanti scenari rispetto a quelli tratteggiati nei testi contenuti nel volume. E Piero, esperto di giallo classico e titolare del blog La morte sa leggere, rintraccia proprio in questa scelta uno dei motivi della crisi di questa collana, tanto da portarne alla sua cancellazione: “Cosa dicevamo?” scrive in un commento al post di Altieri. “Che a furia di pubblicare sempre le stesse cose, racconti di autori italiani, etc. etc. etc. se si risparmiava da un lato, si finiva per perdere acquirenti dall’altro; se non si traducevano autori stranieri di valore, si perdevano acquirenti; se si proponevano vecchie traduzioni non rifatte, traduzioni fatte male all’origine o quasi, si perdevano acquirenti”. Pensiero anche condiviso da Roberto G: ”Incrementare le vendite? Sì, ma finché si pubblicano antologie con nomi noti misti a dilettanti di basso livello e allo sbaraglio, come nell’ultimo Supergiallo, non stupiamoci se le collane chiudono”.

Il problema dei racconti e, per estensione, delle antologie, è duplice: da una parte, nel nostro Paese, questa forma narrativa tira poco, non è molto amata e, spesso, pure vista come un qualcosa di serie B, delle mere operazioni commerciali fini a se stesse. Dall’altra riuscire a scrivere un buon racconto, non dico ottimo, è impresa non da poco, distinguendosi in maniera decisa dalla tecnica del romanzo. Un romanzo brutto lascia dietro si sé strascichi importanti, ma un racconto non riuscito è qualcosa di ben più devastante. E in una antologia, come nei cesti di mele, basta che un singolo elemento sia modesto per bacare tutto il resto. Trovare una ventina di racconti di elevata qualità, inoltre, non è purtroppo cosa da poco. Da qui, probabilmente, le difficoltà di una collana decisamente votata al volume antologico. Se poi sommiamo a tutto ciò quanto lucidamente scritto da Piero, beh, la chiusura della collana stessa non può esserne altro che la logica conseguenza.

Sergio Altieri

Dopo Supersegretissimo, quindi, una seconda storica collana della Mondadori da edicola va definitivamente in pensione, nonostante lo stesso Altieri si prenda la briga, un po’ di prammatica, per essere sinceri, di rilanciare ventilando non meglio identificate novità prossime venture. E sono anche molti quelli che, a questo punto, si aspettano la terza botta: la chiusura di Millemondi di Urania. “Praticamente di sola edicola non vive più nessuna collana: tutto ciò cui non ci si può abbonare viene chiuso. Incrocio le dita per l’amato Millemondi…” dice l’utente Quiller, a cui fa subito eco ancora Piero: “Ecco, Quiller, hai capito dove volevo andare a parare. Spero che non sia quella la terza collana che verrà fatta fuori, ma anch’io ho dei dubbi”. Stessa linea d’onda del preoccupato Valentino Colapinto: “La soppressione del Supersegretissimo e del Supergiallo non può non rattristare gli appassionati. Inevitabile pensare che adesso toccherà a Millemondi di Urania…”.

Ma gli affezionati ed espertissimi lettori e utenti del Giallo Mondadori e del suo blog dedicato rilanciano, aprendo sprazzi di speranza forniti dall’e-book: “Mi auguro che la politica della Mondadori non consista solo in tagli ma anche in investimenti e, perché no?, aggiornamenti,” scrive ancora Colapinto, che prosegue: “Come potrebbe essere quello di rendere disponibile in formato ebook (al prezzo economico di 0,99€ per volume) il ricchissimo catalogo delle collane da edicola, i cui arretrati sono spesso introvabili o molto costosi”, auspicio immediatamente fatto suo anche da Joe Kurtz: “Mi associo alla proposta di avviare la pubblicazione delle varie collezioni da edicola in formato ebook. Se il problema dei diritti digitali rende problematica la pubblicazione degli arretrati (ma forse non per tutto il catalogo…), che si cominci almeno con le nuove uscite: Mondadori ha annunciato che pubblicherà in ebook tutte le nuove uscite in libreria, perché non dovrebbe adeguarsi anche per le collane da edicola?”

E-book o carta, comunque, quello che conta è quanto e come si voglia investire. Ogni impresa commerciale necessita di investimenti che, se ben fatti, sono poi in grado di portare utili all’azienda. Gli spazi meramente culturali, per un’azione di rilancio della collana più antica e sicuramente blasonata della letteratura gialla, ci sono tutti. Ne è dimostrazione lo strepitoso successo della collana I Bassotti della Polillo, a cui ora si è pure aggiunta la neonata I Mastini dedicata all’hard boiled, capace già di presentare un lavoro eccezionale e introvabile come Il passato si sconta sempre di un autore del calibro di Ross Macdonald e in una traduzione integrale e totalmente nuova. Sottolineiamolo: traduzione integrale e totalmente nuova. Insomma, questo si chiama fare cultura e, allo stesso tempo, fare impresa. Diversamente il timore di Valis666 è ben più di uno spettro che si aggira per l’Europa: “Che cosa altro vogliamo chiudere? La situazione mi ricorda in fabbrica quando ci smembravano i reparti uno alla volta….che tristezza…”.

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Il Mago – Edgar Wallace

Il Mago

IL MAGO (The Ringer)
di Edgar Wallace
ed. I Classici del Giallo Mondadori n. 1265
Traduzione di Alberto Tedeschi

Arthur Milton, in arte Il Mago, è tipo da non fargliele girare troppo. Killer infallibile, trasformista eccezionale, potreste prendere con lui un tè per mesi e mesi senza mai conoscerne la vera identità e poi, zac, rimanerci secchi se gli fate qualche sgarbo. Ma Milton, anche se è un feroce assassino, rimane pur sempre un inglese di inizio ‘900, un tizio, cioè, che fa dell’onore e del rispetto per l’altrui sesso una delle sue prerogative, addirittura uno stile di vita. E poi, diciamocelo, anche se mezza Scotland Yard gli sta correndo dietro per mandarlo sulla forca, beh, non è che le sue vittime siano in molti a piangerle, essendo ben più spregevoli della mano che ha dato loro l’estrema unzione.

Avere la polizia alle calcagna, però, non è mai piacevole. Per tale ragione Il Mago, anni fa, è migrato in Australia in cerca di un po’ di tranquillità. La cosa sembra essergli andata tanto a genio fino al punto di prendersela fin troppo comoda e morire affogato nel porto di Sidney. Anche se sono tanti a essere scettici che un uomo simile abbia potuto trovare una tale e banalissima morte, Milton ha da tempo fatto completamente perdere le sue tracce alla polizia dell’intero Commonwealth. È forse anche per questa ragione, per la sua sospetta morte, che l’avvocato Maurice Meister, un cocainomane e un pendaglio da forca ben peggiore dei clienti che è chiamato a difendere, ha forse trovato il coraggio di prendersi qualche libertà di troppo con Guenda Milton, la sorella del Mago che gli era stata affidata proprio da quest’ultimo prima di partire per il suo esilio e che ora, per guadagnarsi da vivere, faceva da segretaria allo stesso Meister. Un giorno la ragazza viene trovata morta nel fiume. La versione ufficiale parla di suicidio, anche se tutti sospettano, a ragion veduta, dell’avvocato suo datore di lavoro, notoriamente pure un vecchio porco bavoso. E se Il Mago, invece, non fosse davvero morto? Maurice Milton avrebbe un problema che quattro inferiate agli infissi della sua abitazione non potrebbero contrastare. Le cose si complicano ulteriormente quando Mary Lenley, graziosa ragazza di una ricca famiglia decaduta, viene assunta da Meister per sostituire la defunta Guenda. Ma si dà il caso che Mary abbia qualcosa che va ben al di là della semplice amicizia con Alan Wembury, giovanottone di campagna appena promosso ispettore e chiamato a vigilare su quell’avvocato che tanti sospetti sembra suscitarli.

Il Mago – lavoro di Edgar Wallace del 1925 originariamente apparso come The Gaunt Stranger e poi ristampato come The Ringer, versione che ha fatto da base per la prima traduzione italiana del 1932 di Alberto Tedeschi, oggi riproposta ne I Classici del Giallo Mondadori – può riassumersi come un romanzo dell’attesa: attesa di qualcosa che sappiamo deve accadere, ineluttabilmente, ma che viene ogni volta rimandato, posticipato di pagina in pagina fino al convulso finale. Sappiamo che dovrà esserci un omicidio e sappiamo pure chi saranno la vittima, Meister, e chi l’assassino, Milton. Ma non sappiamo quando accadrà e Wallace è bravissimo nel porre il proprio racconto in una dimensione terza rispetto a quelle naturali, metafisica, nonostante l’autore britannico non sia sempre impeccabile nel dipanare logicamente la sua storia, presentando alcuni punti oscuri e di difficile interpretazione alla luce dei fatti narrati. Forse la versione di The Ringer è tagliata o rivista, come accadeva spesso per opere dell’epoca che apparivano in Italia in traduzione, oppure, più semplicemente, Wallace perdeva il filo del discorso mentre se ne stava lì a scrivere cinque romanzi contemporaneamente, perché già negli anni ’20 il mutuo sulla casa era una bella gatta da pelare.

Un romanzo lieve e piacevole, di rapidissima lettura anche grazie ai capitoletti estremamente brevi, quattro o cinque pagine, che dimostrano come il ritmo incalzante, ancora una volta, non sia una geniale trovata di qualche editor contemporaneo. Quasi commovente, infine, la storia d’amore, chiamiamolo così, che coinvolge Alan, il poliziotto, e Mary, la giovane segretaria di Meister e altra potenziale vittima per tutto il corso del libro. In tempi, quali quelli che stiamo vivendo, di esasperata ostentazione di corpi e sentimenti, in un vortice voyeuristico e pornografico che pare senza fine e senza fondo, leggere di questi due ragazzi che evidentemente si fanno il filo a vicenda e che, insomma, gli ormoni sono ormoni da qualche migliaio di anni, ma che non smettono di darsi del “voi” e il massimo della provocazione sessuale risiede nello sfiorarsi accidentalmente una mano o nell’ammiccare dietro due gote rosse, beh, suscita una tenerezza riconciliante con la letteratura e un disgusto incontrollabile per la nostra contemporaneità da bunga bunga.

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Controfigura per un rapimento – Howard Browne

Controfigura per un rapimento

CONTROFIGURA PER UN RAPIMENTO (Thin Air)
di Howard Browne
ed. I Classici del Giallo Mondadori n. 1259
Traduzione di Carmen Descovich

“Deve crederci, Hughes. Se vuole convincere il consumatore, deve essere convinto lei stesso. È questo il principio che anima ogni reparto di questa agenzia: ricerche di mercato,  mezzi di diffusione, ufficio artistico. saremmo in grado di vendere slitte agli ottentotti e paracadute ai minatori. milioni di persone sono in nostro potere. noi catturiamo la loro attenzione dalle pagine dei giornali e dei rotocalchi, noi piantiamo i nostri cartelloni lungo le autostrade e li attacchiamo ai muri, noi lusinghiamo questa folla, la corteggiamo e la mettiamo in guardia contro il fiato pesante e i cattivi odori. noi li frastorniamo con l’aiuto della radio e della TV. comprano i nostri cibi in scatola per essere energici, usano le nostre saponette per essere affascinanti, fumano le nostre sigarette perché un giovanotto in camice bianco pagato da noi li convince confidenzialmente dei vantaggi della nicotina. milioni di persone, Hughes! Milioni di consumatori che comprano ciò che noi suggeriamo loro di comprare. Perché? Perché siamo degli esperti che sanno come risvegliare in loro il desiderio per i prodotti che vogliamo vendere. Questi milioni di persone lavorano per noi. Fanno ciò che vogliamo noi e ci dicono tutto quanto vogliamo sapere da loro. Tutto…” [pg. 53]

Queste parole venivano scritte nel 1954 da Howard Browne nella sua opera forse più celebre e quella, sicuramente, da lui considerata come la migliore e in cui “ritengo […] avere uno stile veramente personale”, come riportato nel pezzo firmato da Luca Conti sul suo blog e successivamente ripreso anche da quello del Giallo Mondadori in occasione della ristampa per i Classici del Giallo Mondadori di questo Thin Air, tradotto con il pessimo e deleterio titolo di Controfigura per un rapimento.

Siamo negli anni ’50, epoca del comportamentismo e della possibilità di fare pubblicità alle sigarette e al loro gusto. Tempo fa visitai una mostra, mi pare una antologica di Aligi Sassu e della rivista Corrente, e tra i materiali esposti c’era pure una rivista di quell’epoca in cui, nella pagina a fianco ad un articolo sul pittore o a una sua riproduzione, non ricordo, c’era una magnifica pubblicità su una nuova marca di sigarette, con un bel ragazzone biondo che magnificava lo straordinario sapore di quel nuovo prodotto. Se, oggi, questo genere di pubblicità può far sorridere, dovremmo forse riflettere su un qualsiasi spot televisivo o inserzione cartacea in merito a un qualsivoglia prodotto alcolico, di solito birra, whyskie o amaro. Scene di gioia, felicità, belle ragazze e bei ragazzi. Fuma che sei figo e trombi. Bevi che sei figo e trombi. I riferimenti sessuali nelle tecniche di marketing sono roba stravecchia, come l’amaro di cui sopra. Ma Browne, con gli strumenti del giallo, getta uno sguardo di una lucidità stupefacente su questi meccanismi e, badate bene, lo fa oltre sessant’anni fa. Mica male.

Ames Coryell sta tornando a casa da una breve vacanza con la moglie e la figlia di tre anni. Arriva nel vialetto di casa e la consorte, che per metà viaggio ha dormito sul sedile posteriore insieme alla bambina, esce dalla macchina, entra in casa e scompare. Letteralmente. Come se non fosse mai esistita. Coryell capisce subito che, probabilmente, ha preso la porta posteriore ed è andata, volente o nolente, a farsi quattro passi. Ma ha lasciato la borsetta sul divano. E una donna non lascia mai la propria borsetta prima di uscire. Ergo deve esserle necessariamente successo qualcosa e qualcosa di brutto. Dopo aver avvertito la polizia e iniziato una sorta di corpo a corpo che lo impegnerà per tutto il romanzo con l’arcigno tenente Box, un vicino di casa dello stesso Coryell viene trovato mezzo morto con la testa fracassata. Che i due fatti siano collegati? Che ci sia di mezzo una tresca amorosa finita male? Proprio Coryell è il primo indiziato sul taccuino della polizia. Ma Ames non è certo tipo che si dà per vinto senza combattere. È o non è il vicepresidente di una importante agenzia pubblicitaria di New York? Pubblicità significa quanto riportato lucidamente sopra, ma anche spazi sui giornali e le radio, agganci, professionisti, uomini e risorse da investire nella più grande indagine collettiva che sia mai stata scritta.

Thin Air è un romanzo eccezionale sotto diversi punti di vista. In primo luogo condensa in sé tutti i pregi di un buon romanzo giallo o hard boiled, qui più che mai le differenze di genere si fondono in una trama del tutto originale: è rapido, preciso, semina i giusti trabocchetti lungo il percorso e dà una splendida raffigurazione di una porzione del mondo in cui questa storia è ambientata. Se non fosse per il titolo italiano che fotte un po’ l’intera vicenda e la chiave di volta che la tiene insieme, Thin Air sarebbe anche una bella sfida intellettuale e deduttiva nel tentativo di risolvere una sorta di mistero da camera chiusa e cioè come può una donna che entra in una casa sotto gli occhi del marito sparire nel nulla senza lasciare traccia? Inoltre il romanzo ha le giuste dimensioni, intese come numero di pagine, che ne rendono la lettura rapidissima, direi addirittura da apnea. Il lettore è costantemente stuzzicato ad affiancarsi a Coryell per cercare almeno di fare delle ipotesi sul dove diavolo possa essere finita la moglie. Browne, inoltre, pare non prendersi mai troppo sul serio, farcendo la sua storia – narrata in prima persona – con una paio di battute volte quasi a irridere il genere stesso entro cui egli si sta muovendo, esorcizzando la potenziale seriosità della vicenda drammatica a favore dell’affabulazione da scrittore di razza che non ha paura ad ammiccare al proprio lettore. Se proprio gli si volesse trovare un punto debole, questo risiederebbe forse nel finale a cui lo scrittore ricorre per far quadrare il cerchio e ad alcuni comportamenti da parte dei suoi protagonisti che paiono un po’ troppo “tagliati su misura”.

Infine, Thin Air è un lavoro eccellente proprio per essere stato in grado di utilizzare il giallo per entrare in un mondo oscuro, ignoto e piuttosto falso qual è quello della pubblicità, un mondo fatto di apparenza e fondato sui falsi bisogni che è in grado di far nascere, come perfettamente esemplificato dalla citazione iniziale, palesandosi come opera di una modernità sconvolgente.

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Omicidio a fumetti – Max Allan Collins

Omicidio a fumetti

OMIDICIO A FUMETTI
di Max Allan Collins, illustrato da Terry Beatty
ed. Il Giallo Mondadori n. 3015
Traduzione di Igor Longo

Se non avessi letto la data di pubblicazione del Giallo Mondadori n.3015, Omicidio a fumetti, avrei scommesso che il romanzo fosse stato scritto, che ne sono, negli anni ’50, forse ’60. Poi, vabbè, non stiamo qui a fare i puntigliosi, il suo autore, Max Allan Collins, avrebbe pure avuto cinque o sei anni, sarebbe probabilmente stato più impegnato a capire come si controllano i propri sfinteri piuttosto che lì concentrato a cercare di orchestrare un omicidio in una casa editrice di fumetti. Ma queste, dicevamo, sono sottigliezze, quisquiglie.  

Inoltre lo sceneggiatore della graphic novel Road to Perdition – da cui il film con Tom Hanks Era mio padre – non si nasconde neanche dietro un dito o una matita, bensì ammette in toto il modello a cui si è ispirato nello scrivere questa storia: “Essendo un giallo nella tradizione di Rex Stout e Ellery Queen, il delitto ha basi storiche molto vaghe, e i veri conflitti tra i personaggi sono stati notevolmente ingigantiti o addirittura inventati di sana pianta. I personaggi ispirati a fumettisti ed editori reali offrono un ritratto ben poco lusinghiero di sé, perché dopotutto dovevano essere semplicemente i sospettati di un mystery classico”. E che più classico non si può.

Donny Harrison è il capo padrone di una delle più importanti case editrici americane di fumetti. Il vero pacco di soldi lo ha fatto con Wonderman e parenti. Donny è talmente riconoscente nei confronti del supereroe che non può fare a meno di vestirsi come un minchione mascherato da Wonderman durante la propria festa di compleanno. Ci sono un po’ tutti: moglie, amante, collaboratori vari, sceneggiatori, disegnatori, amici. Tutti. E tutti sono sospettati del suo omicidio. Donny, appena prima di tagliare la torta che è rimasta un po’ qui perché, insomma, mica si muore prima di aver mangiato quel montarozzo di panna e chissà quanti altri grassi, si sente male e stramazza sul coltello che teneva in mano e che gli sarebbe servito a ben altro compito piuttosto che a sbudellarsi. Ma tant’è. Morto stecchito. Jack Starr, figlio di un ex amico e socio di Harrison è il vicepresidente della società che ha in mano i diritti di distribuzione delle strisce di Wonderman e di numerosi altri fumetti di successo. La morte di Donny, solo all’apparenza accidentale, è quindi un bel problema di immagine: se il colpevole non sarà smascherato nel più breve tempo possibile lo scandalo potrebbe scoppiare, travolgendo un business che nell’immediato secondo Dopoguerra sta iniziando a battere qualche colpo. Già, perché il coltello con cui si è infilzato il magnate vestito da salsiccia non è il colpevole di questo caso di omicidio.

Come sempre accade fantasia e realtà si mischiano e si confondono, come in parte rivelato anche dall’estratto riportato sopra e autentica citazione di Max Allan Collins. Che la Marvel e la DC, chiamiamole con i loro nomi, non si siano mai amate è cosa nota. A colpi di supereroi si sono sempre divise il fruttuoso mercato fumettistico americano e internazionale, inscenando una competizione che probabilmente può essere ritenuta l’autentico motore per quella fertilità creativa dimostrata in questo campo per decenni e, ancora oggi, capace di tenere botta a quei tiranni chiamati televisione e internet. In questo scenario Allan Collins ci costruisce una storia in cui il metodo induttivo la fa da padrone al pari di un affresco assolutamente realistico dello sfruttamento che strangolava sceneggiatori e, soprattutto, disegnatori. Anche oggi, a dire il vero, almeno nel campo del giornalismo, siamo in quella situazione lì: tre euro per un articolo e ringraziami pure. Dito medio alzato.

La morte di Donny potrà quindi affondare le proprie radici nell’ambito lavorativo oppure, all’opposto, in quello privato? Perché Harrison, come tutti i papponi con i soldi, riesce a scopare mica male fuori dal matrimonio. Qualcuno, ad esempio la moglie, potrebbe essere stufa dei continui tradimenti. Oppure, ancora, la mafia ci ha messo lo zampino? Perché siamo nella New York del 1948 e la mafia ovunque mette le sue luride manine e il boss Calabria – che fantasia – potrebbe aver ordinato lui l’uccisione di Donny? Come in ogni buon giallo che si rispetti le piste sono molte e variegate e solo nelle ultimissime pagine, con tutti i sospettati raccolti in un’unica stanza, la verità verrà svelata.   

Omicidio a fumetti risulta interessante per chiunque ami il giallo classico, quello vecchio e caro. Per costoro sarà come fare un tuffo nel passato, in un modo di scrivere romanzi che, forse, ma mai dire mai, non c’è più. Particolarmente stuzzicante è, inoltre, la commistione tra prosa e fumetto, in un tutt’uno inscindibile e assolutamente originale. Lo sviluppo della storia non fa una piega, Max Allan Collins è autore navigato, il racconto regge fino alla fine e le numerose false piste disseminate lungo il libro adempiono in maniera egregia al loro compito. L’unica pecca, forse, è nella scelta del protagonista, un manager che, ma guarda un po’ te, ha pure una licenza da investigatore privato e si mette a indagare e a risolvere un caso mentre la polizia fa la figura del fesso. Tale scelta è ovviamente finalizzata a meglio esplorare e affrescare il mondo del fumetto americano e per abbinare la detection al racconto dell’intimità di un mondo fatto da nerd introversi era necessario un personaggio che conoscesse a fondo questa realtà. Il protagonista Jack Starr, appunto. Però, insomma, un po’ tirata per capelli, dai.

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La “doppietta” di Simone Tordi

Luna in scorpione

Visto e considerato che mi sono riproposto di esplorare meglio e dare maggiore risalto al mondo del Giallo Mondadori, promettendomi, in primo luogo, di leggere almeno una delle quattro pubblicazioni – due inediti e due ristampe ne I Classici – che ogni mese si possono trovare in edicola, è con piacere che pubblico oggi l’intervista fatta con Simone Tordi, autore di Luna in scorpione, Giallo Mondadori n. 3013 uscito a Settembre e di cui potete leggere la mia recensione pubblicata su Pegasus Descending.

Come sei arrivato alla pubblicazione con Il Giallo Mondadori?
Sono arrivato al Giallo Mondadori grazie all’incoraggiamento e all’entusiasmo dell’editor della collana, il grande Sergio Altieri.

Perché questa formula della “doppietta”, cioè due romanzi brevi in un unico volume?
Mi trovo meglio con la formula breve, con il racconto e il romanzo breve, per intenderci. L’idea di fare una “doppietta”, con due romanzi così diversi, è ancora una volta di Altieri.

Nero Luna e Scorpioni nel cervello. Nella mia recensione pubblicata su Pegasus Descending ho espresso, e motivato, una preferenza per il primo. Tu, invece, so essere maggiormente affezionato o soddisfatto del secondo lavoro. Molti altri lettori che hanno commentato sul blog del GM la pensano come me. Secondo te perché questa dicotomia “di gusti” tra i lettori e l’autore?
Ho riflettuto molto su questa diversità di pareri. Ho riletto Scorpioni nel cervello, che non prendevo in mano da quasi tre anni. E ho riletto Nero Luna. Luna è più agile, scorrevole, leggibile. Scorpioni nasce dall’idea di scrivere un romanzo non realistico, piuttosto grottesco e onirico. Non sempre ho centrato il bersaglio e, a posteriori, l’uso del presente indicativo non ha aiutato. Detto questo, sono contento del tentativo fatto e ci sono diversi elementi positivi.

In Nero Luna ho avvertito una decisa influenza della serie tv The Shield
Mentirei se dicessi che non ha avuto alcuna influenza sul personaggio di Luna. La serie di Ryan è ben fatta, regge alla grande per almeno tre stagioni.

Ci sono due critiche che mi sento di muovere a Scorpioni nel cervello: i personaggi eccessivi, talmente “tanti” da diventare irrealistici…
E’ una critica che mi hanno rivolto anche altri lettori. Premetto che con Scorpioni il mio intento era di creare un romanzo a-realistico, grottesco e onirico. Partendo da queste premesse è naturale che i personaggi siano così eccessivi, estremi. Certo, non sempre ho centrato gli obiettivi, e forse mi sono fatto prendere la mano. Probabilmente oggi non lo scriverei al presente indicativo, ma al passato, che è più facile da maneggiare.

… e l’uso di aspetti onirici dei personaggi stessi, il racconto di loro sogni, che forse sono volti a caratterizzare meglio e con più precisione i personaggi e la loro psicologia, ma che, allo stesso tempo, “distraggono” il lettore e rallentano la narrazione.
Anche questo è un rischio che ho corso in maniera razionale. Gli aspetti onirici sono fondanti in Scorpioni nel cervello, ma è vero che, in alcune occasioni, possano frammentare e rallentare troppo l’azione.

Tu sei anche sceneggiatore di serie tv di enorme successo (Carabinieri, Ris, etc). Hai mai avvertito una qualche costrizione, implicita o esplicita, da parte dei produttori affinché proponessi una sceneggiatura già vista e letta, che strizzasse l’occhio allo spettatore, così da garantire un successo certo alla fiction basandosi “sul già visto” piuttosto che lasciare completa libertà di innovare e proporre nuovi personaggi, ambienti, format etc.?
Faccio subito una precisazione, anche per completare la scarna nota bio in coda al Giallo Mondadori. NON sono uno sceneggiatore, o meglio, ho avuto poche esperienze come sceneggiatore televisivo. Lavoro da anni come story editor e produttore per le fiction Tv di Mediaset. Dal mio punto di vista, da parte degli sceneggiatori c’è sempre una sorta di auto-censura, dettata anche dalle richieste del committente. Se scrivi per una serie da prima serata per Canale 5, che ha un pubblico piuttosto generalista, difficilmente potrai proporre una serie come Romanzo Criminale.  

Quali sono le differenze di rapporto e collaborazione tra sceneggiatore/produttore e scrittore/editor(e)?
Nel mio lavoro i ruoli sono invertiti. Nelle vesti di produttore/story editor ci sono io, dall’altra parte ci sono i creativi puri: sceneggiatori, registi ecc. In realtà per me la narrativa rappresenta un vero rovesciamento dei ruoli.

Cosa ti diverte di più scrivere?
Mi piace creare i personaggi, e l’idea di base, mentre a volte fatico di più sulle classiche svolte del plot legate alle indagini. Questo per quanto riguarda il noir. Mi piacerebbe anche provare altri generi, e altri toni, come quello della commedia, del grottesco.

Tu hai scritto anche non-fiction, e più precisamente di Banda della Magliana…
Si, è stata un’esperienza molto interessante. Mi piace scrivere fumetti, e la Banda ha avuto un’ottima risonanza sulla stampa. E’ stato un lavoro scritto a quattro mani,  con Leonardo Valenti, lui si grande sceneggiatore televisivo (da RIS a Romanzo Criminale). Stiamo ultimando un nuovo progetto insieme, sempre disegnato da Stefano Landini. E’ una specie di bio su Leone: C’era una volta Sergio Leone.

Che consigli daresti a chi volesse iniziare, o provare a iniziare, una carriera da sceneggiatore o da scrittore?
Direi subito che è dura. In Italia si producono pochi film e, per quanto riguarda la fiction, dopo un periodo di vacche grasse, stiamo assistendo a una contrazione del mercato. Ci sono sceneggiatori che magari scrivono una puntata all’anno, e certo non basta per camparci. Per non parlare dell’editoria. Quando va bene, e magari con un esordio si superano le duemila copie, e addirittura si arriva alle cinquemila, in diritti arrivano pochi soldi. Quando va bene. I bestseller sono pochi, gli altri raccolgono le briciole. Ci vuole passione, dedizione, pazienza, e un vero lavoro alle spalle. Senza per questo smettere di sognare.

Attualmente a cosa stai lavorando? Puoi dare ai lettori di Pegasus Descending qualche anticipazione sulle tue prossime pubblicazioni?
Come ho già accennato, presto dovrebbe uscire la graphic novel su Sergio Leone. Ho diverse idee per la narrativa, sempre in ambito noir, ma è presto per parlarne, meglio essere scaramantici.  

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Luna in scorpione – Simone Tordi

Luna in scorpione

LUNA IN SCORPIONE
di Simone Tordi
ed. Il Giallo Mondadori n.3013

Con Luna in scorpione di Simone Tordi, numero 3013 del Giallo Mondadori, si è costretti a scrivere una doppia recensione oppure una recensione sdoppiata. Vedete un po’ voi la modalità che più vi aggrada. Il romanzo di Tordi, nonostante il titolo comune, è infatti un doppio romanzo contenente due testi più brevi. Nell’eterna diatriba tra romanzo breve e racconto lungo, per i testi Nero Luna e Scorpioni nel cervello, propenderei per la prima definizione, stante l’accurata caratterizzazione dei personaggi, vero punto di forza della scrittura dell’autore di questo lavoro.

In Nero Luna il protagonista è un ispettore di polizia marcio fino al buco del culo. Sotto un’apparente parvenza di efficienza e necessaria durezza, Luna e la squadra da lui capeggiata combattono il crimine per alimentare i loro giri loschi. In sostanza la loro è una lotta tra bande per la gestione del territorio. Luna è un figlio di puttana che non esita a far violentare o ammazzare di proprio pugno chiunque gli metta il bastone tra le ruote. Solo l’imbattersi in un caso più grosso di lui, che vede un potente commercialista morto ammazzato nel suo studio, metterà in crisi l’oliato sistema criminale messo in piedi, facendolo venire faccia a faccia con un potere ben più pericoloso di quello che si manifesta con la semplice raccolta di qualche migliaio di euro di pizzo.

Nel secondo racconto, Scorpioni nel cervello, i protagonisti sono un prete psicopatico come don Luca e il commissario Carlo Mattei, il poliziotto che gli dà la caccia tra le strade di Roma cercando di fare lo slalom tra i propri fantasmi. Nell’ombra si muove, infine, un terzo, ignoto personaggio, il Predatore, ennesimo fuori di testa che non trova niente di meglio da fare che squartare preti e mettere loro il cuore in mano. Nessuno dei protagonisti è quello che appare: don Luca, l’irreprensibile parroco sempre pronto ad ascoltare le confessioni di vecchiette libidinose e ragazzine puttane, è in realtà un assassino, cocainomane, trafficante e puttaniere inveterato. Ma solo nel tempo libero, dopo la Messa e l’Eucarestia. Mattei, invece, è il classico sbirro a un paio d’anni dalla pensione, un cinquantenne con una moglie grassa e indolente e tre aborti non voluti alle spalle. E sono proprio quei tre bambini mai nati a infestare le notti insonni del commissario, uno che non ha trovato maniera migliore per esorcizzare il proprio dolore che non sia la costruzione di un solitario altare fatto di bambole e scorpioni nello scantinato buio e umido di un palazzone nella periferia romana. La loro resa dei conti sarà tanto distruttiva quanto inevitabile.

Visto che già so che vi starete chiedendo quale dei due mi sia piaciuto di più, beh, vi levo subito la curiosità: il primo, Nero Luna. Ho forse già espresso in altra sede – anche se ora, pensandoci, mi pare che questa mia considerazione sia contenuta in una recensione che non ho ancora pubblicato. Sarà l’età. – l’idiosincrasia che sto sviluppando nei confronti di serial killer e pazzi assassini in generale. Per tale motivo il racconto delle gesta di un fottuto bastardo come l’ispettore Marco Luna risulta maggiormente convincente rispetto agli ennesimi psicopatici di Scorpioni nel cervello. Tordi, autore anche di decine di puntate di numerose fiction italiane di successo, con la figura di Luna e della sua squadra sembra volersi richiamare con decisione alla serie americana The Shield, ideata da Shawn Ryan, e al suo protagonista Vic Mackey il cui motto, “la squadra prima di tutto”, diventa anche il mantra dei burini di casa nostra. Come Mackey e come gran parte degli ispettori e commissari del giallo italiano e internazionale, anche Luna ha i suoi bravi cazzacci familiari, con una moglie depressa e un figlio che cresce e fa minchiate a raffica. Ad una storia principale che vede Luna seguire le tracce di un maniaco che se ne va in giro ad ammazzare bambine, collateralmente si sviluppano vicende secondarie tra rapine, sparatorie e violenze varie. Il tutto mentre Luna tesse la sua tela malavitosa perdendo di vista il figlio e i suoi problemi, sacrificando tutto in una ottusa ricerca del potere e dell’arrotondamento dello stipendio da ispettore.

Per quanto il protagonista di Nero Luna sia decisamente sopra le righe, con Scorpioni nel cervello l’esagerazione raggiunge il proprio parossismo. Nel secondo racconto del Giallo Mondadori numero 3013 ce ne fosse uno normale. Tordi si addentra in un mondo fatto di follia cieca e incomprensibile, in cui la noia e il conformismo sono due detonatori deflagranti che ammorbano i sottoscala di vite apparentemente comuni e standardizzate, fatte di sorrisi, pacche sulle spalle e “quanto era bravo il mio vicino di casa”. Tutto è, forse, volutamente esagerato, alcuni delitti sono ridondanti, poco efficaci se il loro fine è dirci qualcosa di più sui protagonisti e troppe sono le pagine metafisiche e utilizzate dall’autore per raccontare sogni di questo o di quello. Per gusto personale apprezzo l’estremo realismo, l’ancoraggio solido alla narrazione dei fatti e della realtà, anche in quella che è e rimane la fiction. I sogni e i non detti che dovrebbero celarsi all’interno dei sogni stessi risultano sempre indigesti, il più delle volte inutili se non, sovente, addirittura dannosi, andando a minare la continuità narrativa precedentemente trovata.

Tordi padroneggia, comunque, una scrittura solida e consapevole, dimostrando tutta la propria abilità nel momento in cui c’è da caratterizzare un personaggio grazie a piccole, ma precise, pennellate, tanto da farmi sperare di poterlo rileggere in un’opera che epurata da determinati eccessi sia in grado, al contrario, di raccontare una vicenda forse più ordinaria, ma sicuramente non meno efficace, nera e interessante.

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E’ tempo di Shutter Island. Finalmente.

La locandina di Shutter Island

Nell’introdurre questo nuovo appuntamento con “Il brusio della rete”, appuntamento settimanale sul mormorio del web intorno agli argomenti trattati da Pegasus Descending, non si poteva non iniziare dalla presentazione romana di “Shutter Island”, il nuovo film della premiata coppia Scorsese-Di Caprio attesissimo da tutti gli amanti del genere e di quel grandissimo scrittore qual è Dennis Lehane.

Di questo film ne avevamo già parlato in tempi non sospetti fin dal lontano Agosto 2009 quando tramite le pagine del vostro blog preferito si erano annunciati i migliori film della seconda metà dell’anno. Poi sembrerebbe che Scorsese, da grande perfezionista, abbia voluto prendersi qualche mese in più per lavorare con maggiore accuratezza sulla postproduzione del suo nuovo thriller e che quindi l’uscita della pellicola nelle sale sia definitivamente slittata al 2010. Comunque, scordiamoci il passato e viviamoci il presente. Vi propongo questo articolo da La Repubblica firmato da Claudia Morgoglione sulla presentazione di “Shutter Island” da parte di un attore da me per molto tempo sottovalutato e – lo ammetto – anche un po’ dileggiato. Mi sbagliavo. Con il tempo Leonardo Di Caprio sta acquisendo una sicurezza e una statura professionale invidiabile e di tutto rispetto nel magico mondo di Hollywood. Lo fregano solo il celeberrimo “Titanic” e quella sua faccia da bravo ragazzo eternamente diciassettenne. Ma “Revolutionary Road” è un capolavoro e già solamente l’interpretazione del protagonista maschile del romanzo di Richard Yates varrebbe una intera carriera da attore. Potete anche vedere la conferenza stampa degli stessi Martin Scorsese e Leonardo Di Caprio direttamente su Youtube caricata da RBCasting e divisa in più parti. Qui la prima. È tradotta in italiano.

Detto questo andiamo con una carrellata di news letterarie. Nonostante il nostro precedente appello nel post “Liberate Stieg Larsson!” sembra che il defunto autore del bestseller “Uomini che odiano le donne” non possa trovare pace alcuna. Su La Stampa è stata recentemente pubblicata questa intervista rilasciata dalla compagna di Larsson, Eva Gabrielsson, a Francesco Saverio Alonzo su tutte le voci e le molte malignità sorte dopo la scomparsa del giornalista svedese.

Non sappiamo se Larsson abbia mai sofferto di quella strana sindrome che colpisce saltuariamente gli scribacchini, ma se così fosse stato avrebbe probabilmente trovato molto utile il decalogo dettato da Margaret Atwood per superare il cosiddetto “blocco dello scrittore”. Su Il Sole 24 Ore un articolo di Stefano Salis illustra i vari stratagemmi escogitati dai nostri autori nostrani per vincere questo fastidioso inconveniente. Almeno per chi si guadagna la pagnotta quotidiana infilando una parola dietro l’altra.

Su Il Giornale è poi comparsa questa intervista a Paola Barbato in occasione dell’uscita del suo nuovo libro “Il filo rosso” (ed. Rizzoli). Si alza a mezzogiorno e scrive dalle undici di sera alle quattro di mattina. Io sto buttando questo post alle dieci e mezza e sto già crollando dal sonno. È tutta una questione di ritmi circadiani. Non c’è un cazzo da fare.

Per concludere una notizia riportata dal blog I Corpi Freddi e precedentemente segnalata da Il Corriere della Sera. Sembrerebbe che Maurizio Costanzo si appresti a prendere la guida dello storico Giallo Mondadori, attualmente in mano a Sergio Altieri. Sulla blogosfera è immediatamente scoppiato un casino che neanche una bomba di Maradona sugli spalti del San Paolo, mentre lo stesso Altieri invita a mantenere la calma dagli spazi di Facebook. Personalmente credo che prima di criticare o indignarsi sarebbe bene lasciare il tempo di lavorare a chi è stato chiamato a farlo. Poi si vedrà, ci si incazzerà e si dirà che è tutto sbagliato, è tutto da rifare. Non prima. I pregiudizi portano sempre a commettere degli errori – vedi il mio di cui sopra riguardo a Di Caprio – anche se i seguaci di Oscar Wilde e del suo celebre aforisma “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze” sono sempre numerosi e agguerriti.

Infine, ed è proprio la fine, una interessante recensione firmata da Guido De Franceschi ancora su Il Solo 24 Ore de “Un grande gelo” di Arnaldur Indridason (ed. Guanda). Mi è già venuto freddo.

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