Pegasus Descending

Pulp, thriller, hard boiled, noir

The Nisbet’s Rule: “Chi incontri a pagina uno è completamente fottuto”

Jim Nisbet

Non ho bisogno di dire che Jim Nisbet è un autore che apprezzo molto, se avete letto le mie recensioni di Iniezione letale e Cattive abitudini già lo saprete. Nisbet è uno scrittore in grado di travalicare il genere, di sondare i recessi più remoti dell’animo umano come pochi altri sono capaci di fare. Non è probabilmente un caso che nell’intervista rilasciata in esclusiva per Pegasus Descending e che potete leggere qui sotto, citi più volte sia Tolstoj sia Dostoevskij. Non si vuole, con ciò, fare dei paragoni che avrebbero poco senso e scarso valore, bensì sottolineare come in tutta l’opera di Nisbet sia sotteso, dopo opportuna digestione e assimilazione, l’insegnamento dei due geni russi.

Jim Nisbet sarà Domenica 16 Maggio a Torino presso il Salone del Libro alle ore 13.30 (Sala Azzurra) con Sandro Veronesi, mentre il giorno dopo, Lunedì 17 Maggio, presenterà alla Libreria Egea di Milano (via Bocconi 8 ) con la prof.ssa Paola Dubini il suo libro Cattive abitudini, per poi effettuare un breve tour di firma copie presso la Libreria Mondadori di Piazza Duomo alle 13.30 e, alle 15, nella Libreria Hoepli di via Hoepli 5.

 

Qual è stato il suo primo incontro con la letteratura?

Attraverso la lettura, naturalmente. Una lettura onnivora. Poi mia madre deve aver notato qualcosa e mi ha dato una macchina da scrivere quando avevo tredici anni.

Quando ha pubblicato il suo primo libro?

Il mio primo libro pubblicato si intitolava Poems for A Lady, e apparve nel 1977. Il mio primo romanzo pubblicato, invece, fu The Gourmet, nel 1981, ripubblicato poi da Black Lizard nel 1985 come The Damned Don’t Die e, a proposito, uscito in Italia per Bompiani con il titolo I dannati non muoiono nel 1993. Riapparirà questo autunno in America, trent’anni dopo. Incredibile.

Iniezione letale si apre con 57 magnifiche pagine che descrivono la morte di un condannato. Perché una così dettagliata descrizione? Ha fatto delle ricerche in merito?

La prima parte non è una domanda, ma ti ringrazio.

Iniezione letale

In quanto al motivo per cui la prima scena è scritta in questa maniera oppure da dove proviene la potenza di questo passaggio, non saprei realmente dirlo. È vero che ho trattato il soggetto e il momento in modo estremamente serio perché, del resto, sono seri. Molto seri.

Posso però tentare, per te, di tornare all’origine dei motivi – non posso realmente chiamarla ispirazione – che mi hanno indotto a portare avanti l’idea della prima scena. Il tutto è nato da un minuscolo articolo di giornale, meno di cento parole, circa un ragazzo in Texas. Era stato processato, giudicato colpevole e condannato alla pena di morte per un omicidio commesso nel corso di una rapina. Nel 1976, intanto, la Corte Suprema aveva deciso che la pena capitale era di nuovo legale. Gli ingranaggi della giustizia si presero il loro tempo per girare, ma – penso nel 1984 o 1985 – tutto era pronto per la prima esecuzione capitale dopo molti anni. Il Texas fu il primo a riammetterla e ancora oggi credo che sia lo Stato con il maggior numero di esecuzioni. Ormai la sedia elettrica, l’impiccagione e il plotone di esecuzione erano stati sostituiti dall’iniezione letale. (Lo Utah, per fare un esempio, ancora permette al prigioniero condannato di decidere tra l’iniezione letale e il plotone di esecuzione. Tutti, in America, ricordano le ultime famose parole di Gary Gillmore, indirizzate al proprio plotone di esecuzione: “Let’s do it”. La Florida continuò ad utilizzare la sedia elettrica fino a un macabro inceppamento avvenuto solo pochi anni fa. E così via.)

Comunque, dopo molti ostacoli, per così dire, era giunto il tempo, per questo giovane prigioniero che era anche, tra l’altro, un maschio nero, di andare al Creatore, come si suole dire. Lo accompagnarono dentro la camera della morte, lo legarono, gli inserirono due aghi, iniziarono a somministragli una flebo di soluzione salina per inibirgli la coagulazione e il telefono sul muro suonò: il suo avvocato era riuscito, all’ultimo minuto, ad ottenere una sospensione dell’esecuzione. Allora gli tolsero la flebo, rimossero gli aghi, slegarono il nostro ragazzo e lo riportarono nella sua cella nel braccio della morte.

Una settimana dopo, secondo un altro articolo di un centinaio di parole (che, per ironia della sorte, è chiamato “pallottola” nella terminologia giornalistica), lo riportarono nella camera della morte e lo uccisero per davvero. Non ci fu nessun drammatico rinvio e morì in un minuto e mezzo.

È stata questa settimana che mi ha affascinato. Che cosa poteva essere passato nella mente di questo ragazzo? Noi tutti sappiamo che Dostoevskij fece una esperienza simile (fu condannato a morte e graziato proprio davanti al plotone di esecuzione, N.d.R.) e che scrisse cose molto interessanti in merito. Ma Dostoevskij era un genio. Conosci quel commento secondo cui “Niente accade per caso a un artista”? Dostoevskij disse molte cose, ma non quella! Comunque, Bobby Mencken, come ho spontaneamente scelto di chiamare il mio giovane condannato nero, non era in Russia né, tanto meno, nel 1854. Era in Texas intorno al 1980. A quel tempo il Texas era l’unico Stato nel Paese ad aver resuscitato, per così dire, la pratica della pena capitale e il primo Stato a somministrarla mediante una iniezione letale. In più la prigione di Huntsville era ed è un posto molto famoso – che, tra l’altro, ho praticamente escluso dal romanzo, anche se forniva parecchio materiale. L’annuale rodeo dei prigionieri, per esempio. Oppure, per fare un altro esempio, la raccolta del cotone necessario per le uniformi -. Quindi è per questa ragione che ho ambientato il libro in Texas. E inoltre il Texas mi piace.

È così che il libro è nato. Subito, naturalmente, la narrazione ha cominciato a prendere la propria strada e, seppur essendo portati a fare ricorso alle piccole astuzie in possesso di ognuno, bisogna prestare attenzione a questo processo. Trovavo che il dottore fosse un personaggio interessante e così è stato.

Per quanto riguarda la ricerca, ti dirò la verità: non ne ho fatta alcuna fino a che non avevo già scritto la prima stesura del libro. In un certo senso tutto ciò è assurdo, naturalmente. Ho già menzionato Dostoevskij e la mia quotidiana abitudine di leggere il giornale. Lo sai che Dostoevskij ebbe l’idea per il personaggio di Raskol’nikov da un articolo pubblicato su un quotidiano? Idem Stendhal e Julien Sorel. Uno scrittore, un articolo di giornale, un romanzo. Comunque, essendo come sempre senza soldi, ho scritto il romanzo in quattro settimane, semplicemente perché non potevo concedermi altro tempo per lavorarci sopra. Al termine delle quattro settimane ho cercato di mettere le mani su qualsiasi cosa il San Francisco Chronicle avesse pubblicato in merito alla pratica dell’iniezione letale, che ormai aveva iniziato ad essere applicata nello Stato del Nevada, proprio accanto alla California. Una notte mi sedetti in un bar e lessi questo fascio di carte piuttosto modesto, che conteneva un resoconto di un reporter/testimone e i farmaci utilizzati. Il giorno dopo tornai al mio manoscritto e trascorsi un’altra settimana su di esso, con l’idea di avvicinarmi il più possibile alla verosimiglianza e accertandomi che questa fosse costante per tutto il libro.

Cinque settimane in tutto. Fine dello svolgimento. Fine dalla ricerca. Fine dei soldi. Fine del tempo. Poi tornai alla falegnameria.

Non molto tempo dopo vendetti il libro al primo editore che lo aveva letto, il romanziere Barry Gifford, che in quegli anni era l’editor della Black Lizard Books. Riuscì a pagarmelo un migliaio di dollari.

La stessa cosa, tra l’altro, era capitata anche sei o sette anni prima per il mio primo romanzo pubblicato. Il primo editor che lesse The Gourmet, lo comprò; lei, comunque, riuscì a darmi mille e cinquecento dollari. Quindi, in termini contrattuali almeno, ero in netta fase discendente.

Sia Iniezione letale sia Cattive abitudini hanno come protagonisti un uomo comune scaraventato in un mondo criminale che, per lui, è totalmente alieno. Perché questo genere di personaggio?

Perché forti contrasti forniscono ricche dicotomie.

Mi è parso di leggere in Cattive abitudini un fortissimo contrasto tra la razionalità del protagonista e il potere del destino che sconquassa la sua vita. È una lettura corretta la mia? Perché questa scelta?

Sì, sicuramente. Vuoi dire quanto questa sia una scelta dovuta a me? Beh, come ho detto anche prima, uno scrittore deve fare attenzione a dove sta andando il proprio libro. Io avevo uno scienziato con alcuni vicini misteriosi. So che questo concetto può sembrare strano per la mentalità italiana, ma in America un sacco di persone non arriva a conoscere i propri vicini. Per non parlare, poi, di quanto nella fisica delle stelle a neutroni il razionale e l’incomprensibile si incontrano e si fuggono.

 

Cattive abitudini

Cattive abitudini è stato da poco pubblicato in Italia. Qual è il substrato, il significato e la lezione morale (se ce n’è una) di questo romanzo?

 Questo lo lascio dire al lettore…

Perché fa finire il romanzo in un casinò?

Beh, inizia in un casinò, no? [si riferisce alla lotteria iniziale, N.d.R]. C’è forse qualche luogo che non è un casinò?

Qual è, secondo lei, il ruolo del destino nelle nostre vite?

Beh, in senso stretto, il destino è il corso della vita di ciascuno di noi. Detto ciò, ci sono molti dibattiti in merito a chi comanda. Tendenzialmente siamo portati a pensare che se le cose vanno come si voleva che andassero, allora sei tu che comandi. In caso contrario viene dato il merito o la colpa ad altre forze, a seconda che il corso della propria vita sia piacevole o meno.

Queste idee sono alla base di molte speculazioni e molta letteratura. Si pensi, ad esempio, alle ultime cento pagine di Guerra e Pace, dove Tolstoj svolge una corposa argomentazione in merito all’idea che il destino dell’uomo è fuori dalla portata delle sue mani, mentre è forse Dio che comanda. Tutto ciò nonostante le precedenti novecento pagine in cui un tizio di nome Napoleone sta menomando il proprio destino insieme a quello del resto dell’intera Europa. È un ragionamento interessante. Ma, dopo un po’, Tolstoj e la sua insistenza sul concetto di Dio iniziano a diventare noiosi.  Si pensi allo studio di George Steiner intitolato Tolstoj o Dostoevskij. È un lavoro accademico molto interessante, anche se molto difficile da comprendere se prima non hai letto tutto sia di Tolstoj sia di Dostoevskij. Ed è realmente vero che questi due scrittori tendono a dividere ordinatamente i lettori del mondo in due campi, per così dire, in due gruppi. I loro rispettivi approcci nei confronti del destino hanno molto in comune con quella dicotomia di cui dicevamo prima. E, naturalmente, se una domanda così non è mai bianca o nera, le risposte sono tutte grigie.  

Perché hai scelto il noir?

È il noir ad aver scelto me. Lasciami spiegare meglio citando Faulkner: “Rimproverare uno scrittore per l’uso della violenza è come rimproverare un falegname per l’uso del martello”.  O qualcosa di simile. Belle parole. Parole più vere non sono mai state pronunciate. Ma tieni d’occhio quello che il tipo sta costruendo. Alcuni lasciano i segni del martello sopra tutti i loro lavori di falegnameria.

Naturalmente Faulkner non menziona mai la Regola del Noir di Jim Nisbet. Ce n’è solo una: chiunque tu incontri a pagina uno è completamente fottuto e potrà solo stare peggio.

Forse non conosceva questa regola. O forse non ne aveva bisogno. 

Come nascono i tuoi romanzi?

Ho idee in continuazione. Ma le idee che scelgo sono le uniche che sembrano non avere nulla in comune con quello che ho già visto in passato. Con il passare degli anni e dei romanzi, questo ethos fornisce molte difficoltà, ma anche molto interesse, per me che faccio lo scrittore. 

Quale tuo romanzo preferisci e perché?

Suppongo che mi piacciono per motivi differenti, ma ci sono forse quattro cose che tutti hanno in comune. Ognuno rappresenta, grosso modo, il miglior lavoro che potevo fare in quel momento e, sebbene siano tutti diversi, puoi sempre dire chi li abbia scritti. Inoltre, le persone che si prendono la briga di chiedermi circa i miei romanzi hanno tutte un loro preferito e questo pregiudizio o preferenza o opinione è abbastanza uniformemente distribuito tra tutti i titoli. E questo mi piace.   

Lei è anche un falegname. Ci sono affinità con la scrittura?

Le due cose sono complementari, senza alcun dubbio. Mentre una ti affama, c’è sempre una possibilità che l’altra ti dia da mangiare. Mentre una esercita la mente, l’altra allena il corpo, anche se, naturalmente, c’è il tai-chi per la relazione tra questi due aspetti. Mentre una è praticata seduto ad una scrivania in solitudine, l’altra è svolta all’aperto, in piedi e in mezzo ad altri artigiani. Questo, almeno, era vero quando ho iniziato io.  E i giorni degli inizi sono diventati i giorni di mezzo, e quelli di mezzo i giorni più recenti… e così via. Inoltre ci sono degli elementi ulteriori. Una volta ho lavorato in un gruppo di costruzione molto ampio, probabilmente 60 uomini, in cui ogni suo membro era in libertà provvisoria, me escluso, e io ero in prova.

C’è bisogno di dare spiegazioni?

Potrebbe darci qualche anticipazione sul suo prossimo libro?

Se ti riferisci al mio “ultimo” romanzo come Cattive abitudini ce ne sono altri quattro dopo quello. Ma ricorda, chiunque incontri a pagina uno…

Dopo Cattive abitudini viene The Octopus on My Head. Poi, Windward Passage, che è già stato pubblicato negli Stati Uniti. A seguire, Old & Cold, che uscirà nella primavera del 2011 (2011!). Dopo quello sarà la volta del romanzo che ho appena terminato di scrivere, intitolato Snitch World.

C’è, negli USA, un giovane scrittore di noir particolarmente interessante?

No fucking idea. [Non ne ho la minima idea]

 

Un grazie di cuore a Olivia Crosio che, in anteprima, ha letto e rivisto la mia traduzione dell’intervista rilasciatami da Jim Nisbet. Non ho bisogno di dire che qualsiasi cosa che non funzioni sia da attribuirsi solo ed esclusivamente a me.

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8 pensieri su “The Nisbet’s Rule: “Chi incontri a pagina uno è completamente fottuto”

  1. Max Cherry in ha detto:

    Bel lavoro!

  2. Sì dovrei esserci, salvo imprevisti dell’ultima ora.

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