Pegasus Descending

Pulp, thriller, hard boiled, noir

L’occhio del ciclone – James Lee Burke

L’occhio del ciclone

L’OCCHIO DEL CICLONE (In the Electric Mist with Confederate Dead)
di James Lee Burke
ed. Fanucci
Traduzione di Stefano Bortolussi

Leggere un romanzo di James Lee Burke è come essere presi e catapultati in Louisiana, generalmente in quell’eterno periodo in cui il caldo torrido si alterna a improvvisi temporali. Non importa dove voi siate e in quale stagione stiate leggendo, quello che conta è il risultato, il potenziale narrativo e immaginifico che uno scrittore come Burke, senza ombra di dubbio tra i migliori al mondo – in termini generali e non solo di genere – è in grado di portare: “D’estate nella Louisiana del Sud piove quasi ogni giorno. Dal portico di casa, verso le tre del pomeriggio era possibile vedere le nubi scure formare vere e proprie montagne sul golfo; nel giro di pochi minuti il barometro si abbassava drasticamente, l’aria si faceva all’improvviso fresca e gravida dell’odore metallico dell’ozono e dell’afrore del fiume in cui i pesci avevano deposto le uova, e il vento iniziava a soffiare da Sud, gonfiando i ciuffi di muschio che pendevano dal cipressi morti, piegando i giunchi nel fiume, agitando i noci pecan nel mio giardino; finché all’improvviso una cortina di pioggia grigia non si avvicinava dalla palude, superando gli isolotti galleggianti di giacinti viola, il mio negozio di esche e il telone che riparava il pontile e tempestando la tettoia del portico come una raffica di biglie di vetro su una lamiera ondulata.” [pg.49-50]

Se Elmore Leonard è l’indiscusso maestro del dialogo grazie alla sua incredibile capacità di rendere al meglio le voci, i brusii, gli slang, le inflessioni della strada e della gente comune, James Lee Burke è l’altrettanto indiscusso maestro della descrizione, nella narrazione che se non fosse scritta definirei orale, quella, per intenderci, che ci avvolge completamente, ci rapisce facendoci immaginare mondi, persone e luoghi diversi, rappresentando l’essenza stessa della letteratura e del raccontar storie.

Se il mantra ripetuto in ogni dove, da ogni editor e in ogni manifestazione letteraria vuole che il diktat sia “show don’t tell”, James Lee Burke sembra mostrare raccontando. Le lunghe descrizioni, come quella riportata sopra e presa da L’occhio del ciclone, romanzo del 1993 da cui è stato tratto un film con un ispirato Tommy Lee Jones nei panni di Dave Robicheaux, solitamente rallentano la narrazione, la storia, spesso paiono più delle inutili appendici volte ad allungare il brodo piuttosto che elementi fondamentali del racconto. In James Lee Burke, così come in pochi altri scrittori che io abbia avuto la ventura di leggere, le descrizioni paesaggistiche diventano il vero coprotagonista della vicenda narrata, delle parti del romanzo senza le quali l’intera impalcatura narrativa ne uscirebbe menomata. Il problema è questo: nel lavoro di Burke neanche una pagina, una riga merita d’essere tagliata. È tutto imprescindibile, tutto essenziale. E questo, per me, è assolutamente pazzesco, il termine ultimo di ciò che noi chiamiamo “scrivere”.

Il L’occhio del ciclone Robicheaux si trova schiacciato, come di consueto, tra due indagini parallele che, alla fine, tendono a confluire e trovare un esito comune, riproponendo uno schema narratologico classico e usato da molti scrittori di genere – si pensi, tanto per citarne uno e ben noto, al Camilleri di Montalbano. Se, da una parte, un serial killer sembra aver preso ad accoppare giovani donne di facili costumi, dall’altra il rinvenimento dei resti vecchi di trent’anni di un cadavere probabilmente vittima di un linciaggio a cui Dave assistette in gioventù perturbano la tranquilla routine di New Iberia. Come se non bastasse, una troupe cinematografica sta girando un film sulla Guerra di Secessione, Baby Feet Balboni, un pericoloso mafioso, è tornato in città dopo avere tentato la sorte nella vicina New Orleans e Dave inizia ad avere delle strane visioni di ufficiali confederati che gli parlano. A indagare sulle morti, inoltre, l’Fbi manda Rosie Gomez, volenterosa agente poco avvezza agli usi e costumi di questi campagnoli buzzurri.

Con L’occhio del ciclone James Lee Burke reinterpreta, ancora una volta, i temi a lui cari: il razzismo, piaga ancora tanto diffusa nel Sud degli States degli anni ’90 come, probabilmente, in quelli di oggi, Obama o non Obama; i demoni interiori di Dave, un ex alcolista, anche se ex non lo si diventa mai del tutto e la bottiglia è sempre lì sulla mensola che ti ammicca bastarda; la povertà estrema mista a ignoranza in cui le possibilità di uscita oscillano sempre tra la criminalità e la miseria, interiore ed esteriore; una sorta di nobiltà d’animo, quasi da cavaliere errante della Mancia, che attanaglia Dave, facendolo incazzare e sbraitare contro il vento, abbaiando alla Luna:   

“Sono tutti pronti a svendere.”
“A svendere cosa?”
“Qualsiasi cosa, basta che frutti qualche dollaro. Pesce ai ristoranti, alligatori ai giapponesi. Lasciano che le compagnie petrolifere inquinino i banchi di ostriche e scavino canali nel bacino, sommergendo chilometri e chilometri di terreni paludosi. Si chinano per prenderlo nel didietro da chiunque agiti un libretto degli assegni.”
“Lascia perdere, Dave.”
“Una bella stagione di caccia all’uomo, ecco cosa ci vorrebbe.” [pg.105]

James Lee Burke

E forse proprio in quest’ultima frase è racchiusa tutta l’essenza della narrativa e della filosofia burkiana, un misantropismo che ha portato lui, come il suo personaggio più famoso, a tirare i remi in barca, a raccogliersi intorno alla propria famiglia in un ranch tra Louisiana e il Montana e mandare il mondo a fare in culo. Ma Dave è fatto d’altra pasta e proprio non ce la fa a fottersene e a lasciare che tutto segua il suo declinante corso, che vite si perdano non vissute e che la bruttezza diventi il paradigma delle nostre esistenze. Molti, in L’occhio del ciclone, gli consigliano di farsi i fatti propri, di non andare a rinvangare un delitto dimenticato da tutti di trent’anni fa. Però gli occhi dell’uomo morente li ha visti lui, lui era in quel bayou mentre ammazzavano quell’uomo, soltanto un negro per molti, oggi come allora.

È in questo modo che la narrativa di James Lee Burke si trasforma, da genere, da procedural, e diventa arte sublime, letteratura concentrata e allo stato puro, uno sguardo alieno e disincantato, ma non assente, su ciò che ci gira intorno. Peccato solo che in Italia, nel nostro colto Paese, a nessuno sembri fregare un emerito cazzo di tutte queste cose, non sembri fregare un emerito cazzo della letteratura, troppo presi a correre dietro a festival letterari da fighetti con la puzza sotto il naso e la erre moscia. Io dico, io domando: o voi lettori, ma cosa volete più di un James Lee Burke? Ditemelo, se esiste. Altrimenti piantatela lì e tornate a guardare la tv, le tette di questa e le chiappe di quella. Piantatela lì con i libri, perché non sono cosa per voi. Perché uno come James Lee Burke è un assurdo della ragione che non venda, è un assurdo del nostro essere uomini e lettori il suo non trovare un editore, in Italia, pronto a raccogliere il testimone abbandonato dalla Fanucci. Ma, ditemi, quante assurdità siamo ancora disposti ad accettare?    

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86 pensieri su “L’occhio del ciclone – James Lee Burke

  1. Ross in ha detto:

    parole sacrosante …… ma davvero Lee Burke non vende in Italia????? forse perché tutti, come me, essendosi sorbiti 5, dicasi 5, pagine di lezione sulle autoattribuite finezze lessicali della traduttrice (non mi ricordo di quale libro), che tante fatiche le sono costate tra dialetto cajun e flora della Lousiana, dopo aver subito coltellate come “cartwheels” tradotto con “carretti” e The Big Sleazy tradotto con “Il Grande Fango” (brrrr …) si sono rassegnati a leggerlo in originale. Come del resto Leonard e Lansdale, massacrati da Einaudi (una media 80 refusi a libro sono troppi anche se non sei un accademico della crusca). God bless the 3G kindle …………

    • Io, purtroppo, non parlo e leggo così bene l’inglese come te, anche se dovrei rimboccarmi le maniche e provvedere. Comunque, dai, non credo che i problemi di Burke con i lettori italiani siano dovuti alle cinque pagine della traduttricie. Sai, ognuno ha il proprio ego da alimentare e quindi… sui refusi ho scritto, tempo fa un post dedicato. Da correttore di bozze, diciamo così, professionista – perchè faccio questo lavoro per otto ore e mezza al giorno, anche se su riviste di enigmistica e non su letteratura – 80 refusi non sono accettabili, nonostante la correzione di bozze sia un lavoro noiosissimo e supermonotono, è dura mantenere alta l’attenzione per molto tempo prolungato. E per questo ogni libro necessiterebbe di un minimo di tre giri da tre correttori diversi. Ma spendere qualche centinaia di euro per un correttore, evidentemente, non è possibile per il budget Einaudi… 🙂

    • Ross, spero che tu non pensi che i refusi nelle edizioni Einaudi di Leonard e Lansdale siano colpa del traduttore.

  2. Gigistar in ha detto:

    Anch’io sto spazzolando Burke direttamente in Inglese e anche a me una traduzione scricchiolante provoca arrossamenti della pelle e rinite allergica, ma temo che per il mancato successo di Burke in Italia ci sia anche dell’altro.

    Certo, a sentir parlare di traduzione non accurata e di refusi mi viene da tornare sul discorso che si faceva in un altro post, in cui si diceva che gli editori hanno investito in Burke senza incontrare il favore dei lettori, forse anche per colpa di un pubblico che non sa apprezzare. Be’ alcuni editori hanno investito, sì…ma in che modo? Di sicuro per acquistarne i diritti, ma forse (ripeto, forse) non tutti lo hanno fatto abbastanza per curare il prodotto nella sua interezza.

    Comunque almeno su “Two for Texas” e “Swan Peak” dove la traduzione è di Luca Conti direi che anche il lettore più esigente può acquistare a occhi chiusi…

    Ma davvero mi dici “Il Grande Fango”…?

    • Però Swan Peak l’ha tradotto Luca, mica pizza e fichi o l’ultimo arrivato, e però non ha venduto ugualmente. Certo, figurati che la Mondadori che frequento io non lo ha mai avuto – mai! – e ne ho trovato un’unica copia in un’altra libreria indipendente qui in centro a Saronno, altrimenti col fischio. Se si distribuisce così un libro ci credo che poi non vende… le traduzione sono fondamentali, però non credo che tutti i lettori siano così raffinati, a maggior ragione se non si conoce la versione inglese (come per il sottoscritto). Io non lo so qual è il problema, neanche Dexter o Leonard, per citare due che su Pegasus Descending tengono scuola, sono poi così strombazzati su riviste, quotidiani, tv o con pile all’ingresso di supermercati o altro, e però credo che riescano a tenere botta o, comunque, a non perdere troppo. Forse una grossa casa Einaudi può permettersi anche di andare in pari avendo utili da altre perti, case medio-piccole, invece, no. Quello che vorrei, però, è poter leggere Burke, ogni anno un libro, e ben tradotto. Stop. A proposito: avete notizie di Robert Crais? Il libro dell’anno scorso mi pare che non sia ancora uscito da noi… saltato pure lui? Adesso faccio un giro in internet per cercare news…

      • Vitandrea in ha detto:

        Riguardo ai media che non parlano di scrittori di crime, noir, eccetera, (e vale lo stesso per fantascienza, fantasy, horror, rosa, e qualsiasi genere o sottogenere che ti viene in mente) è sempre la solita spocchia della critica italiana unita a ignoranza cronica. Tutti i generi citati prima uguale lettura d’ombrellone uguale lettura d’evasione uguale non è arte. E quindi non è degno che se ne parli nei canali ufficiali di comunicazione. Ricordo, in un Almanacco della Paura di Dylan Dog di qualche anno fa (forse 1997, o 1998) che ne parlava già Tiziano Sclavi, ed era un periodo in cui gli scaffali di horror non erano imbottiti di porcherie sui vampiri e trovavi ancora cose interessanti. Forse con noir e affini c’è più scelta ora, anche se lo spazio è sempre soffocato da svedesi e thrilleroni tutti azione e muscoli.

  3. Ross in ha detto:

    @ Gigistar: yesss siree, giuro, Il Grande Fango. E la cosa più irritante è che la traduttrice ci scrive pure un saggio sopra! Per carità, tradurre Burke è difficilissimo, devi conoscere la parlata del golfo, il cajun, lo slang dei detenuti, dei neri, dei rednecks, del white trash, dei pescatori, e questo se ci si limita alla serie di Robicheaux. Se si passa a quella di Billy Bob Holland la cosa si complica ulteriormente – presente come parla Wyatt Dixon, il sociopatico texano che fa il paio con Chigur di No Country for Old Men? per cui non scaglierei pietre se l’errore, umano, non fosse aggravato dall’arroganza, troppo umana.
    Detto questo mi rattrista apprendere che Lee Burke non sta in piedi sul mercato italiano. Forse perché non fa ridere come Leonard e Lansdale per rimanere nel sud? Forse i crime writers del sud – sud in generale, vedi Markaris e vabbé, mettiamoci pure Camilleri – devono avere una vena comica da cui i nordici sono esentati? Pelecanos, Rankin, gli svedesi non fanno ridere. Boh, mi sa che dico boiate, speriamo ci pensino i fratelli Cohen – ma niente Bardem nel ruolo di Wyatt Dixon 🙂

  4. Ah, Andrea, guarda che il traduttore dell’Occhio del Ciclone è Stefano Bortolussi, non Bertolussi.

    • Ok, grazie della segnalazione. Però non è un mio refuso, perchè sono andato a ricontrollare e Bertolussi – con la “e” – è il nome riportato in apertura di romanzo dell’edizione Fanucci… che ci vuoi fare. Non contate un cazzo, voi traduttori, manco il nome giusto! 🙂 Comunque ora correggo.

      • Lo so che non è colpa tua, che il refuso è nell’edizione Fanucci (in origine il romanzo era uscito per Mondadori, tradotto da Bortolussi come svariati dei primi Burke). D’altronde, pensa che su Ibs la traduzione del libro è attribuita a me…

      • Gigistar in ha detto:

        Ci mancava solo il refuso sul nome del traduttore. Lo vorrei vedere io un bel refuso: una virgola spostata di una posizione a sinistra in quarta di copertina… sul prezzo! Sai che libidine!

  5. Alex in ha detto:

    Maledette case editrici italiane! Proprio adesso sto guardando su Amazon le versioni originali dei romanzi del grande James, con la bava alla bocca…
    Maledetto me, che non ho una conoscenza tale della lingua inglese da poter leggere in originale questi romanzi! Anche se per tigna potrei provarci a costo di dover consultare un dizionario ogni due parole.

    Luca (Conti) convinci Einaudi stile libero, battiti duramente per far avverare questo sogno. La casa editrice che pubblica Leonard, Lansdale, Crumley, Wambaugh, Bunker e Winslow non può non avere voglia (e la possibilità) di schierare tra le proprie fila anche un maestro quale è James Lee Burke! Non può privare i lettori amanti del noir della gioia e del piacere di avere tra le mani un libro che ti fa respirare l’aria della Louisiana e assaporare i sapori inconfondibili di quelle terre!

    Sig. Luca Briasco, ancora ricordo con piacere la postfazione che seguiva l’antologia dei racconti di Lansdale-Maneggiare con cura- e ogni tanto la rileggo, perchè da lì traspare tutto il suo amore e rispetto per un certo tipo di letteratura, resa oggi ‘popolare’ da Lansdale, ma che passa (prima) attraverso autori immensi quali Faulkner, Caldwell, Flannery O’Connor e lo stesso James Lee Burke.
    Ci regali una speranza almeno, per ricambiare la fiducia(per non dire fede) di noi lettori, che ogni settimana, nonostante la crisi e la scarsità di denaro mettiamo mano al portafoglio per comprare l’ennesimo libro, oggetto inanimato in grado di prendere vita e di darne alla nostra immaginazione!
    Grazie! E grazie Pegasus per quello che scrivi e per lo spazio che ci concedi:-)

    • Se volete lanciare una sottoscrizione per farmi tradurre l’ultimo di Burke, ci possiamo pensare. In condizioni normali, vista la mole del romanzo, farlo tradurre a me costerebbe circa 7000 euro (lordi). Sono dispostissimo a tradurlo per 4000. Siamo in grado di trovare 40 lettori disposti a versare 100 euro a testa? Oppure 80 che ne investono 50? Se sì, io garantisco al 100% di trovare un (grosso) editore disposto ad acquistarne i diritti di pubblicazione e a investire su stampa e distribuzione.

      Pensateci.

      • Vitandrea in ha detto:

        Io ci starei pure. Andrea, tu che sei il megaboss del blog, che ne pensi?

      • gianpietro schiroli in ha detto:

        scusate, entro per caso nella discussione,forse fuori tempo massimo (cercavo qualcosa di nuovo del vecchio amico JLB che mi manca da toppo tempo)
        se c’è da fare una sottoscrizione, io sono sicuramente disponibile!
        fatemi sapere.

      • Ciao Gianpiero, a breve darò una news, sperando di raccogliere quelche info in più, e probabilmente non ci sarà bisogno di alcuna sottoscrizione, ma solo di andare in libreria! Comunque grazie e continua a seguire Pegasus Descending, sono certo che questo sia il posto che fa per te!

  6. Alex in ha detto:

    Assaporare i sapori fa schifo, ma mi è scappato! 🙂

  7. Alex in ha detto:

    Luca, fammi capire. Noi lettori sborsiamo i soldi, tu lo traduci con lo sconto, una casa editrice se lo accaparra e ci investe. Il problema sta nei 4000 euro che ci vogliono per la traduzione?
    Per assurdo, se tu lo traducessi gratis, proponendolo alla stessa casa editrice, questa ne comprerebbe i diritti di pubblicazione e lo stamperebbe, ma se tu vai, proponi l’autore e chiedi 4000 euro, o anche 7000 per la traduzione, questa ti sbatte (in senso figurato, ovvio) la porta in faccia?
    Spiegaci meglio, ti prego, perchè mi pare alquanto kafkiana come situazione!

    Da parte mia, io ci sto, per finanziare l’impresa, e magari di lettori ne troviamo anche più unendo le forze dei vari blogger che la pensano come noi e Pegasus!
    Grazie per la cortesia e per le tue risposte.

    • No, Alex, il problema sta nel fatto che al momento nessuna casa editrice italiana è disposta a rischiare su Burke comprandone i diritti e pagando le spese di traduzione e di stampa. E’ un investimento consistente, a fronte di vendite ipoteticamente basse. Ci vorrebbe qualcuno disposto a prendere Burke in blocco e cominciare da capo, ma JLB è stato tradotto e pubblicato ormai da troppe case editrici, e tutte si tirano indietro. Avessi soldi da investire (sapendo comunque di andare clamorosamente in rimessa) aprirei una casa editrice per conto mio e pubblicherei tutto Burke dal primo all’ultimo libro, ma così non è e io non ho neanche mai comprato un gratta e vinci in vita mia:-)

  8. Pingback: In the Electric Mist – regia di Bertrand Tavernier « Pegasus Descending

  9. custerlina in ha detto:

    E’ facile sparare sulle case editrici italiane, ma non dimentichiamo che la gran parte della responsabilità di una situazione a dir poco tragica visibile sugli scaffali delle librerie è da attribuirsi principalmente ai lettori, cioè tutti noi. Io, per esempio, come autore, mi rammarico molto di questa imperante esterofilia che permea il mercato librario italiano e preferirei di gran lunga che i lettori dessero più bado alla scrittura (di qualità) italiana, altrimenti, a suon di traduzioni, resteremo per sempre al palo.
    E il buon Luca non me ne voglia 😉 , ma se ancora non vi siete stufati delle (trite e ritrite) ambientazioni americane e volete leggere Burke, imparetevi l’inglese. 😉

    • Mah, Alberto, io tutta questa imperante esterofilia non la vedo, così come non vedo tutta questa grande scrittura italiana di qualità. Anzi, oso dire che molte traduzioni di romanzi americani o inglesi sono scritte assai meglio di molti romanzi italiani.

      In Italia, vende più Camilleri o Elmore Leonard? Carofiglio o James Crumley? Faletti o James Lee Burke? La risposta non c’è neanche bisogno di darla, così com’è ovvio chi siano i veri maestri tra i nomi che ho appena elencato. E quanti autori italiani hanno imparato qualcosa da Leonard, Burke e Crumley? Pochi, pochissimi, e lo sai anche tu. Quanti maldestri italici scopiazzamenti di Ellroy si sono visti, negli ultimi anni, nelle librerie italiane? A pacchi, e non è ancora finita. E quanti, di questi, valevano qualcosa? Pochi.

      Si può parlar male quanto si vuole della grande tradizione angloamericana, ma è proprio l’esistenza di questa tradizione che permette un continuo rinnovamento interno, cosa che da noi mi sembra capitare ben poco. Anzi, da queste parti, salvo lodevoli eccezioni, siamo sempre al Commissario Cliché, per usare l’azzeccata definizione del buon Andrea Carlo Cappi. Davvero è colpa dei lettori? Il sogno di gran parte degli autori di “noir” italiano non è tanto quello di scrivere romanzi quanto di diventare autori di fiction tv. Perché? Ovvio, perché si guadagna meglio.

      Quanti noiristi italiani sono posseduti da quel tarlo dello scrittore che ancora, a 75 anni, ossessiona James Lee Burke e lo spinge ad alzarsi ogni mattina alle cinque per scrivere un romanzo l’anno? L’unico che mi viene in mente è Camilleri, che però – guarda caso – non appartiene certo alla generazione attuale.

      Quindi credo che tutti dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza: editori, scrittori, lettori. La qualità e il passaporto sono due cose ben diverse.

    • Gigistar in ha detto:

      Ciao Al, mi sforzo di capire il commento sull’esterofilia nel contesto della discussione su Burke, ma non ti seguo: l’assunto di partenza del post è che un grande scrittore (della Louisiana o di Rocca Cannuccia non è rilevante, trattandosi di “grande”) non trova degno spazio nel mercato italiano, non è valorizzato affatto, ha fatto la spola tra vari editori senza successo e ora chissà se sarà più tradotto. La conseguenza è che gli appassionati del genere, e di Burke nello specifico, si rammarichino con l’editoria italiana che lo relega ai margini.
      Nel caso specifico di Burke, quindi, il mercato librario italiano si è mostrato tutt’altro che esterofilo.

  10. custerlina in ha detto:

    Caro Luca, per una volta mi trovo in disaccordo con te. Basta guardare le classifiche, anche con un occhio solo, per capire che la narrativa di genere è in mano agli americani, agli scandinavi e, in terza battuta, al resto del mondo.
    Oggi (fonte: http://www.ibuk.it/irj/portal/anonymous/notizie_classifiche_settimanali), tolto Camilleri, il primo italiano (parliamo sempre di narrativa di genere all’interno di una classifica generale) è Carlotto, al 45° posto! La Cornwell è al 7°, Nesbø al 12°, Lansdale al 25°, e così via. E’ sotto Natale le cose peggiorano nettamente.
    Riguardo alla tradizione angloamericana, oggi come oggi non me la sentirei di osannarla troppo: mi pare che anch’essa si sia perduta all’interno di cliché obsoleti che da noi conservano il loro fascino proprio perché siamo esterofili. Tant’è che mi sembra Lansdale venda più in Italia che in USA (o giù di lì, non ho le cifre a portata di mano).
    Insomma, il mio pensiero è che l’europeo e in primis l’italiano, sia disposto a bersi qualsiasi cosa purché sia americana, estera oppure, in terza scelta, un’americanata.

  11. Fabio Lotti in ha detto:

    Se posso intervenire senza dare fastidio. Esiste anche tutto un pubblico femminile, attratto da autori dello stesso sesso, a cui piace un sacco il gialletto rosa dove non conta tanto l’ambaradan dell’indagine o dell’aspetto sociale quanto l’ambaradan dei rapporti sentimentali ( un mio articolo “L’insostenibile leggerezza del gialletto rosa” su “Milanonera” non so quando). Non ne dò un giudizio di valore anche se faccio uso dell’ironia, ognuno ha i propri gusti, ma mi pare che sia così.
    Sulla letteratura americana vale sempre il solito discorso che vale per tutte le letterature. Bisogna vedere ogni singolo libro. Toby Sawer (cito solo il personaggio), mi è piaciuto mentre Billy Lafitte molto meno. Dovrebbe uscire un articolo proprio qui e mi aspetto un sacco di frustate.

    • Giustissimo quel che dici sulla necessità di valutare caso per caso. Solo che ti contraddici una riga dopo, mettendo subito a confronto due (diversissimi) personaggi di due (diversissimi) libri scritti da due (diversissimi) scrittori…

  12. Convengo con Fabio in toto (anche se mi spiace che non ti sia andato a genio Lafitte, caro Fabio, personaggio secondo me molto interessante e riuscito) sul valore di ogni singolo libro. Se cominciamo a ragionare per categorie il discorso viaggia su livelli diversi (personalmente faccio spesso l’esempio di “Santuario”: è un noir senz’ombra di dubbio, ma è un noir di Faulkner quindi è tutt’altro per cui si possono inchiavardare sulla sua prospettiva stilistica e sostanziale numerosi altre riflessioni). Che Burke non abbia incontrato il favore del pubblico – cosa di cui continuo a stupirmi ma fino a un certo punto – avrà anche a che vedere con le politiche promozionali delle case editrici, che spesso sembra preferiscano darsi una zappa sui piedi piuttosto che spingere un buon prodotto? Altre volte lo stesso autore incontra per meccanismi incontrollabili un inaspettato successo (credo francamente che il buon Lansdale abbia il seguito che ha non certo per i meriti di Einaudi e Fanucci quanto probabilmente per un sano passaparola tra appassionati di avant-pop prima e di gialli sudisti poi). Aggiungo anche che ho l’impressione che Al Custerlina, da bravo scrittore qual’è, stia attraversando una personale fase di allontanamento dal genere (Al sia detto senza polemica, è solo una limpida constatazione dedotta da un paio di commenti, ma ti comprendo bene perché io stesso sto sperimentando se non una presa di distanza quantomeno una rielaborazione critica del filone narrativo in cui la mia produzione è solita venir relegata!)

  13. Fabio Lotti in ha detto:

    E’ probabile che su Billy Lafitte sia stato condizionato dal confronto con Toby Sawyer e l’ho anche scritto (bisogna sempre essere onesti) ma su questa mia valutazione ci ritorneremo al momento opportuno. Aggiungo che oggi uno scrittore per salvarsi, anche dal numero spropositato di pseudoscrittori che spuntano da ogni dove, deve, come dire, rivedere ogni tanto il proprio percorso e cimentarsi in nuove avventure di scrittura.

    • No, Fabio, non sono d’accordo. Uno scrittore serio tira dritto per la propria strada, senza farsi influenzare dal pullulare degli pseudocolleghi. I tre esempi che ho fatto prima – Leonard, Burke e Crumley – ne sono la prova lampante. Leonard in particolare, che in 60 anni di carriera non si è spostato di una virgola, ben consapevole dei propri mezzi e del fatto che, prima o poi, il suo tempo sarebbe venuto.

      Omar: ma davvero basta aver scritto tre romanzi per arrivare già a una “rielaborazione critica del filone narrativo” eccetera? 🙂 Te lo chiedo con grande curiosità, visto che io sono uno scrittore sui generis e preferisco riscrivere in italiano i libri degli altri, convinto come sono di aver ben poco di interessante da dire…

      • Luca credo di essermi espresso male: rielaboro criticamente IL MIO ruolo all’interno del filone narrativo – ci mancherebbe, non credo di avere questo potere né la competenza per rivedere l’intero genere 🙂

  14. Vitandrea in ha detto:

    Esatto, conta il testo del romanzo e solo il testo in sé.
    Aggiungo che non è corretto addossare le colpe delle scarse vendite degli italiani ai lettori. Essendo quello librario un commercio come gli altri, se vendono più copie gli americani, gli svedesi o gli aztechi è perché il lettore trova nei loro libri quello che non trova altrove.
    E non è certo il lettore che mette le pile altre due metri di Jo Nesbo (nome a caso) all’ingresso del negozio, con la fascetta “il più stupendissimo scribacchino svedese dopo Larsson!!!!!” con i “60 punti in più sulla carta fedeltà!!!!!”.
    E sono sempre le case editrici cercano di approfittare dei non lettori che prendono la prima cosa che trovano più conveniente (ancora, gli svedesi nel giallo, i romanzetti coi vampiri languidi nell’horror, elfi nel fantasy e cliché assortiti).
    E’ più difficile invece investire tempo, energie e capitali sugli appassionati, che sanno già cosa è buono e vale la pena di comprare e cosa no (con Elmore Leonard mi pare che i risultati ci siano).

  15. Mi scuso per l’assenza di queste ore, ma un lutto in famiglia mi ha costretto a pensare al altro. Ora cerchiamo di riprendere il filo del discorso: inizio con la proposta di Luca e della sottoscrizione per far tradurre un Burke. Ovviamente io ci sto, eccome, anche se gli appunti sollevati da Alex sono più che giusti. Credo che l’unica via percorribile sia una sorta di preacquisto da parte dei lettori e, quindi, l’esborso cadauno dovrebbe almeno essere intorno al normale e solito prezzo di copertina di un libro, intorno ai venti euro e la casa editrice mi dà una copia (perchè l’ho pagata). Così il lettore ha il libro al suo giusto prezzo e la casa editrice fa poi il suo mestiere e, se riesce, i suoi conti e utili.

    Venendo al discorso sollevato da Al: parlo per me. Sono un onnivoro e leggo di tutto, italiani come stranieri. E però gli americani, alcuni americani, hanno una marcia in più e scrivono meglio o, come dice Luca, sono tradotti meglio di quanto non siano scritti alcuni romanzi. Sto leggendo proprio in queste ore Otherside di Giancarlo Narciso: la storia c’è anche, la trama, ma i dialoghi proprio no, lo stile mi pare veramente molto, molto grezzo. E stiamo parlando di uno che fa corsi di scrittura, ha vinto premi e pubblica da anni. Chi sono questi fenomeni italiani che non vendono o non vengono pubblicati perchè i lettori comprano solo stranieri? Il discorso sull’insuccesso di Burke – uno dei più grandi in assoluto nel mondo della scrittura e da molti punti di vista – mi pare che smentisca clamorosamente quello che dici. Alcuni vendono e altri no, tutto qui. Lo stesso Leonard non so se finisca mai in classifica – non le seguo molto, per essere sincero – e forse è uno dei massimi scrittori viventi, forse superiore allo stesso Burke. Io posso anche mettermi di buzzo buono e faticare su un testo in lingua originale, grazie tante, ma pubblicare uno non vuol dire negare la stampa a un altro. Tanto che bravi scrittori come te, Omar, Evangelisti, Marcialis e tanti altri pubblicano regolarmente e il loro spazio se lo sono conquistati. Siamo a quello che dicono Fabio e Vitandrea: il libro è buono o no? Stop. Fare le crociate pro o contro mi sembra proprio poco utile, a maggior ragione in letteratura e vorrei che ci fosse sempre la massima scelta possibile, per il lettore, sia quello occasionale che inciampa in uno scandinavo da quattro soldi o in un Faletti – ricordi la mia foto fatta con il cellulare della pila del suo ultimo romanzo nel reparto frutta dell’Esselunga di Saronno? -, come chi sceglie gente come Leonard, Crumley, Burke, Pizzolatto etc etc. Possibilità di scelta. Queste sono, a mio avviso, le parole d’ordine.

  16. Fabio Lotti in ha detto:

    @ Luca
    Gli ultimi neuroni rimasti mi sollecitano a dirti che il paragone sui due personaggi mi è venuto spontaneo sulla loro riuscita da punto di vista creativo. Per me hanno avuto un risultato diverso anche se espresso con stili diversi. Ma ne riparleremo in seguito. Scorrendo varie recensioni, tra cui quella presente di Andrea e quella di Sartoris, mi sono accorto di essere isolato. Probabile che sia nel torto ma io la vedo così.

  17. Gigistar in ha detto:

    Post caldissimo, in linea con le temperature in aumento! Provo a non perdermi tra i molti temi che si sono aperti.

    La responsabilità dei lettori:
    secondo me, esiste ma fino a un certo punto. Il libro è un prodotto, oltre che una creazione artistica, e chi ne fruisce spende di tasca propria. Ma non è un film, che ti guardi in due ore al sabato sera con gli amici, mangiando la pizza. E’ un prodotto più “difficile”, spesso mal pubblicizzato e che si “consuma” in tempi più lunghi. E in una società con poco tempo, bombardata di stimoli e già di per sé poco avvezza alla lettura, è difficile pretendere che sfondino tutti quelli che piacciono a noi. Non penso di poter fare una colpa agli Italiani perché mediamente hanno gusti diversi dai miei. O perché preferiscono rilassarsi col bestseller da supermercato invece che con l’introvabile nuovo astro del noir. E quindi vengo a…

    La responsabilità degli editori:
    parliamo di imprenditori della cultura. Gente che deve fare soldi, ovvio, ma che teoricamente ha anche una responsabilità culturale, di diffusione di valore. Per questo me la prendo SOPRATTUTTO con i grandi, quelli che i mezzi li hanno: perché troppo spesso, a mio giudizio, fanno poco per indirizzare il gusto dei clienti verso la QUALITA’. Interessano le vendite, i numeri, il fatturato. Quindi molto più redditizio pescare l’ultimo scandinavo e scrivere “Stieg Larsson” in qualche punto della copertina piuttosto che pompare l’innegabile qualità di un Burke, che evidentemente non ce l’ha fatta con la sola forza del passaparola.

    E’ responsabile l’editore, se non decolla un autore di indubbia qualità. Non basta stampare 5 libri al mese, spararli in tutta Italia e poi SPERARE che venda di brutto. Dov’è la promozione, dov’è il marketing, dov’è l’inventiva? Dov’è l’uso massiccio delle nuove tecnologie? Case editrici da 50 milioni di fatturato che sul sito web, per ogni libro, hanno la sezione “commenti”… sistematicamente VUOTA.

    La gente compra di tutto, se indirizzata. Cari editori, rendete FIGO leggere Burke. Rendetelo di moda. Invece di rendere di moda cosette facili facili, di valore letterario zero. Perché dovreste farlo? Perché siete imprenditori della cultura.

  18. custerlina in ha detto:

    “Chi sono questi fenomeni italiani che non vendono o non vengono pubblicati perchè i lettori comprano solo stranieri?”
    Non è questo il punto.
    Il punto è che in Italia non si dà la possibilità di crescere agli autori (di genere, giovani) italiani.
    L’esterofilia di cui parlo, infatti, ha un effetto molto negativo proprio sul vivaio.
    Questo è un tipico errore italiano che viene portato avanti anche in altri campi, dalla scienza allo sport e, naturalmente, alla cultura tutta. Volete che parliamo di cinema, per esempio? Credete che da qualche parte non esista un novello Sergio Leone pronto a dire la sua? Io sono certo di sì, ma non lo vedremo mai per i motivi che ho detto.

  19. Come si combatte l’esterofilia? Con il protezionsimo, facendo come fanno gli svedesi che sovvenzionano le case editrici estere che pubblicano i loro imperdibili polpettoni nordici figli bastardi di Stieg Larsson, entrando nelle testoline dei lettori per spiegare che fa figo leggere Gianni Cunego di Casalpusterlengo tanto quanto John Smith? Non so io la ricetta per risolvere i problemi non ce l’ho so solo che in Italia arrancano autori come James Lee Burke, Dave Zeltserman, Andrew Vachss e trova un editore, per un improbabile giallo, Fabrizio Corona, esatto avete sentito bene Fabrizio Corona. Ergo per cui c’è qualcosa che non funziona alla base. L’italiano medio è rincoglionito dalla tv se vede in tv Antonella Clerici si fionda in libreria a comprare il suo libro di ricette James Lee Burke non va a fare il buffone in giro, si limita a scrivere, quindi è out.

  20. Fabio Lotti in ha detto:

    Però cercare di rendere “Figo” Burke per venderlo mi pare una forzatura. Burke, a mio parere, deve essere quello che è. Se non viene letto molto, pazienza, si leggerà qualche altro autore. Ora che tutti siano rincoglioniti e non sappiano scegliere non ci credo. Il problema attuale è che stanno esplodendo, o sono esplosi, dei filoni che trovano consenso anche se non fai un grande battage pubblicitario (se lo fai ancora meglio): il gialletto rosa, l’horror nei suoi vari molteplici aspetti, il malloppone scandinavo e ultimamente, vedo, anche il giallo umoristico. Inoltre continua imperterrito pure il giallo classico (che leggo volentieri, per esempio) di autori morti e sepolti (Polillo docet e ora anche altre case editrici) che in pratica tolgono lavoro ai giovani.
    Io, però, sinceramente, dal mio punto di vista di lettore vedo un sacco di autori italiani e, come ho già messo in rilievo anche su questo blog, più di autori con le pocce che autori con le palle (non in senso metaforico). Voglio dire che un certo spazio a disposizione esiste.

  21. Che tutti i lettori siano rincoglioniti non ci credo neanche io, ne mi pare di averlo detto. I rimbambiti dalla tv neanche leggono a mio avviso e appunto si recano in libreria solo per libri di ricette, barzellette etc… Su capire perchè Burke non viene letto non saprei è un mistero dato che è un autore decisamente superiore alla media. Forse non lo promuovono, forse non lo conscono, sinceramente non so dare un perchè. Dispiace solo che chi lo ama leggere non lo possa trovare pubblicato. Idem per Zeltserman aspettavo il suo Pariah e si è perso nelle nebbie. Evidentemente non vendono perchè i lettori non li comprano. Il mercato decide, sono le regole del gioco.

  22. Gigistar in ha detto:

    Non credo sia un concetto innovativo, ma forse non riesco a spiegarlo bene. Ho la sensazione che l’editoria italiana sia pigra: se un prodotto, anche scarso, vende molto, si segue quel filone replicandolo in molteplici cloni fino alla nausea. Se un prodotto, pur di ottima qualità, non vende abbastanza, si cassa senza troppe remore.

    Sarò ingenuo, ma all’editoria attribuisco ANCHE un ruolo di divulgatrice di qualità, oltre che di generatrice di profitti. Perciò vorrei che specialmente gli editori con i mezzi divulgassero la qualità sfruttando al meglio i canali commerciali, sia quelli tradizionali sia quelli più innovativi.

    La pubblicità, l’inventiva, l’originalità, il marketing di alto livello fanno vendere di tutto. Dalle mentine alle t-shirt ai telefonini. Con i libri tutto questo non avviene. L’editoria DORME. Mette libri sugli scaffali (a volte curandoli anche poco, leggi traduzioni scarse) e aspetta che si vendano da soli. Col passaparola! Ma per favore! Continuate ad aspettare il passaparola, e la gente continuerà a preferire i libri dei comici a qualsiasi Burke.

  23. Fabio Lotti in ha detto:

    Si sa che i vecchietti sono ripetitivi da morire e tirano allo sbadiglio se non al fastidio. L’avrò scritto cento volte con la solita punta di orgoglio che mi spunta dall’occhietto esaltato. In campo scacchistico prima di scrivere un libro ho buttato giù qualche centinaio di articoli, mi sono fatto il classico culo e poi ho tentato in un campo saldamente occupato da autori dell’Est (decisamente i più bravi). Mi è andata bene e ho pubblicato con la casa editrice più importante. Morale della favoletta lottiana: occorre sacrificio insieme a qualità (lasciatemelo dire). E non sempre le due cose coesistono negli scrittori in generale. Il mercato è importante ma è importante anche di che pasta siamo fatti noi stessi.

  24. Spendo i miei “two cents”:

    E’ assolutamente innegabile e sfido chiunque ad un dibattito aperto al pubblico a contraddirmi, che la letteratura americana di genere e non novecentesca sia di gran lunga superiore a quella europea. Di quella italiana non parliamo neanche il confronto sarebbe impietoso.
    Le difficoltà sono oggettive e di diversa natura.
    Posso affermare per esperienza diretta che, nonostante esistano in campo editoriale persone molto preparate che conoscono la materia, la maggior parte di chi poi “decide” cosa e come pubblicare non ha la benchè minima idea, in primis dei “nomi” cui facciamo riferimento e in secondo luogo del “peso specifico” di un certo autore.
    Non la metterei sul piano della sfida internazionale come dicevo qualche riga più in sù. Usciamo dai confini del noir, parliamo di rosa. Vogliamo paragonare una Steele o uno Sparks (ma anche un Musso o un Levy’) con un De Carlo, un Carofiglio, un Camilleri…Partita strapersa in partenza. Non nascondiamoci dietro alla distribuzione, parliamo di qualità.
    Per quanto riguarda poi certi autori di cui giustamente rimaniano scandalizzati dalla non pubblicazionie, ricordiamoci che solo la spinta di professionisti come Conti (per fare un nome) ci permettono di leggere autori che all’estero rappresentano “la norma”. Ad oggi però, con la situazione attuale del mercato editoriale italiano (con lo spettro poi della digitalizzazione alle porte) è già titanico vantare collane che non si siano del tutto dimenticate di questa piccola e allo stesso qualitativamente gigantesca nicchia.
    Ed è così ovunque. Un esempio? Luca sa da quanto tempo stia lavorando alle ritraduzioni di Robert (Lee) Martin, gratuitamente e senza commisione…scommettiamo che verranno pubblicati altre dieci raccolte di gatti e carabinieri prima che questi vengano presi in considerazione?
    Noi continuiamo a lottare, soprattutto per noi. Purtroppo siamo in pochi e il risultato si vede..

    • Infatti io sono convinto, da tempo, che se la letteratura di genere non fosse (per fortuna) ancora saldamente in mano agli autori angloamericani, saremmo qui a celebrarne la sepoltura, non a lodarla, come scriveva il vecchio William S.

      Da diversi mesi sto leggendo centinaia di manoscritti per il lancio di una nuova collana noir&thriller di un grosso editore italiano, destinata – spero – a dare una bella scossa all’ambiente. Be’, il divario tra gli angloamericani e il resto del mondo è ancora imbarazzante. Chi ha soprattutto una marcia in più, devo dire, sono gli autori britannici, soprattutto gli scozzesi, che vantano una concentrazione di autori di talento, per un Paese così piccolo, da fare impressione. Su un autore in particolare, di cui spero potrete leggere i romanzi a partire dalla prossima estate, e che è completamente inedito in Italia, sono pronto a scommettere quel che volete.

      Ne riparleremo presto.

      • Gigistar in ha detto:

        Luca, tu sai che adesso scatterà la caccia al nome tra tutti i lettori di Pegasus, no? 😉

        Britannici, scozzesi, di talento e non pubblicati in Italia. Me ne vengono in mente almeno un paio. Sicuramente sbaglio ma mi sbilancio con le iniziali di uno di loro, già collocato nella lista dei miei must-read: T.B.

        Ciao,
        Luigi

    • L’unica è non molalre… e spero presto di leggere le tue ritraduzioni di Robert Martin. Dici bene, lottiamo per noi. Così come per Burke, la meno perchè voglio continuare a leggerlo, non potendo, per capacità e tempo, giovare della versione originale, anche se il destimo mi pare quello. Vedremo se magari con l’ebook qualcosa possa cambiare in meglio, vista l’assenza dei costi di stampa. Speriamo, anche se avere il libro in mano è un piacere a cui difficilmente saprò rinunciare…

  25. Luigi, è proprio lui. Ma sono costretto, ancora per qualche settimana, a mantenere il silenzio:-)

  26. Un sospetto su chi sia Mr B. c’è l’ho anche io 😉

  27. Io, comunque, sono sostanzialmente d’accordo con Gigi quando parla di marketing. Certo, se Burke non si fa vedere dalle nostre parti, probabilmente, rilascerà anche poche interviste e, forse, avrà poche recensioni perchè i recensori – quelli che realmente leggono il libro, tutto, dall’inizio alla fine – sono pochi, la maggior parte sono giornalisti culturali che fanno un copia incolla della trama, della quarta di copertina e ci appiccicano poi dietro quattro domande standard. Stessa cosa dicasi per Hiaasen, altro che grazie alla sua pigrizia – o per i buoni motivi che avrà nel fottersene che venga pubblicato o meno in un Paese straniero – ci siamo giocati. Lansdale, come dice Al, vende più da noi che negli USA, ma per guadagnarsi il suo spazio, oltre alla qualità del suo lavoro, si è sbattuto mica male, diventando quasi un prezzemolino. E non credo che sia un caso che Matteo Strukul, uno che di campagne stampa se ne intende, si faccia un culo quadro per far comparire Gischler in ogni organo di stampa possibile, dal Corriere, al blog a Io Donna. Poi, certo, ci vuole la qualità del lavoro, ma serve anche la promozione, perchè il mercato – libero – è vasto e competitivo, i lettori, a parte quelli che passano per Pegasus Descending che, presumo, siano tutti lettori forti e competenti, da decine di libri l’anno, i lettori più saltuari prendono quello contro cui vanno a sbattere al supermercato e quindi bisogna coltivarlo quello zoccolo duro, appunto come fatto da Lansdale e dai suoi editori.

    Luca, maledetto, adesso queste sanguisughe che frequentano ‘sta bettola mi perseguiteranno per sapere chi è il misterioso T.B. scozzese e per aver news di prima mano e in anticipo! Ma si fa così? Si fa? Comunque la penso pure io così sugli autori angloamericani e pure per il cinema. Io vorrei che anche noi italiani riuscissimo a sfornare autori internazionali come loro e non sono mica d’accordo con Al che non si crescono i giovani autori nostrani. Non sarà il punto, ma questi fenomeni in nuce dove sono? Che battano un colpo da queste parti che uno spazio glielo dedico sicuramente! 🙂

  28. T b credo stia per tony black eh eh ma potrei sbagliarmi comunque luca ha ragione americani con una marcia in piu’ come d n ad esempio o v g ma anche come scozzesi fantastici di cui pubblicheremo un libro strardinario e che inviteremo in italia parlo di a g naturalmente definito il re del tartan noir dice bene pelf la promozione e aggiungo io pure l’autopromozione perche’ se lansdale e gischler non venissero in italia o non scrivessero racconti per le riviste ecc oggi non venderebbero quello che vendono pur con le opportune differenze ma vogliamo parlare del culo che si fa massimo carlotto che per anni ha fatto 130 date l’anno in libreria pubblicando un libro ogni nove mesi ma guardate che il passaparola non e’mica un animale mitologico va cercato ma dico ragazzi scherziamo? La promozione e’ la cosa piu’importante senza quella il libro letteralmente non esiste vi bacio ms

  29. Ah a proposito con meridiano zero io non lavorero’ piu’ da gennaio curero’ una nuova imprint per un editore diverso da quello di luca certamente piu’ piccolo ma molto aggressivo e soprattutto con un roster per cui pelf e omar e al credo potranno esaltarsi burke in italia non hA mai venduto non e’ mai stato promosso e non ha mai fatto niente per farlo percio’ e’ giusto secondo me che lansdale gischler e winslow vendano molto piu’ di lui e’ la normale conseguenza delle scelte che vengono fatte non mi piacciono quelli che non si impegnano per fare promozione e poi si lamentano perche’ non ricevono promozione ha ragione fabio ci vuole sacrificio e talento e magari aggiungo io un po’ di sana autoironia che qui da noi scarseggia in modo imbarazzante eh eh

  30. @Matteo: ti quoto in pieno (il sottoscritto ha fatto qualcosa come 120 presentazioni in due anni, da nord a sud, per portare il Verbo «Western-Pugliese» in giro per lo Stivale, e non è finita, Agosto mi vedrà carambolare per sagre e sagrette:-))

    (una volta, a Cuneo, ero proprio in compagnia di Carlotto, per dire, e proprio lì lui mi disse che viveva praticamente in aereo)

  31. Grande Omar e infatti io sto scaldando il motore della vecchia Peugeot per far parlare di Mila credo nel rapporto col pubblico italiano da italiano, di più credo che pure noi italiani potremmo meritarci di andare al di là dell’oceano (non io sfigato è chiaro) ma Carlotto insegna che si può arrivare in finale all’Edgar da italiani, nell’infimo totale della mia risibile esperienza…Anthony neil Smith mi ha chiesto di pubblicare il primo capitolo de LA BALLATA DI MILA tradotto in inglese su Plots with Guns, qual’è il punto di questo sbrodolamento? Che se facciamo rete come fa Pegasus, come fa Luca, Omar, Al, non saremo soli, condivideremo una mostruosa passione per un certo tipo di letteratura, e così facendo conquisteremo visibilità, venderemo più copie formeremo una comune compatta che si supporta e che cresce, ognuno di noi appartiene a una regione diversa ve ne rendete conto? Io sono stanco delle lamentele per cui si continua a dire che non ci sono lettori….certo i lettori bisogna andarseli a cercare uno per uno e bisogna spiegargli che ci sono buoni autori di noir anche in Italia e bisogna anche accettare il fatto che magari alcuni di questi autori manco gli piaceranno ma alcuni sì, idem per gli americani, gli scozzesi, gli irlandesi ecc. Ma più questa comune cresce e si supporta più diventa un soggetto credibile e importante per il mercato, il mercato lo facciamo noi cristo, il mercato siamo noi possibile che non ce ne siamo ancora resi conto? Noi insieme ai librai insieme agli agenti, alla stampa, internet, i media, i traduttori, gli scrittori e i lettori sempre e soprattutto e ognuna di queste persone legge libri che può consigliare ad altri…ma vi pare poco? Il punto è che qua tutti si preoccupano di scrivere e troppo pochi di comunicare che c’è un libro che merita di essere letto…cazzarola!

    • Ain't time to work for free in ha detto:

      A questo tipo di filosofia ho creduto a lungo, poi, col tempo, con le delusioni e la constatazione che, no, gli italiani non sono gli americani (nel bene e nel male), ho smesso di crederci. Quindi Matteo, dammi delle speranze e magari ci ritentiamo..

  32. Grande Matt, il tuo entusiasmo è contagioso! Anche se mi dispiace che non lavorerai più con la Meridiano, ma le nuove sfide e le nuove avventure sono sempre stimolanti, è giudto cambiare dopo un po’, altrimenti si rischia di adagiarsi… vediamo cosa riusciamo a fare, quel realista di Dario fa il pompiere! E fa bene… 🙂

  33. custerlina in ha detto:

    Ciao Matteo. Il tuo intervento entusiasta mi piace per il tono, ma non ne condivido i contenuti. Nel mio caso per esempio, pur non essendo un autore disprezzabile (almeno così dicono) e nonostante lo sforzo (personale) enorme che ho profuso verso i lettori per Balkan bang! e Mano Nera, non ho cavato un ragno dal buco, le vendite sono basse, nessuno (o quasi) mi chiede di pubblicare alcunché (e se me lo chiedono poi non si fanno più sentire) e sono conosciuto solo dentro una ristrettissima cerchia di appassionati. E lo trovo del tutto normale, perché contrariamente a ciò che dici tu, per decollare (e lasciamo stare Lansdale e compagnia che hanno necessità diverse) non bisogna rivolgersi in prima persona ai lettori, ma attraverso il marketing. Tu stai facendo questo (il libro non è neanche uscito che già se ne parla abbastanza), forte della tua professione che (giustamente perché sei bravo) ti ha permesso di avvicinare nomi di una certa levatura, sia in campo nazionale che internazionale. Anch’io ho provato a farlo, ma la mia professione mi rende più facile avvicinare il direttore generale di Generali che Massimo Carlotto, tanto per fare un esempio. Insomma, il tuo nome è già ben conosciuto nell’ambiente (editori, giornalisti, scrittori eccetera) ed è assolutamente normale (in Italia) che la tua bravura trovi un strada diritta verso il pubblico invece che la faticosissima carrareccia di montagna che sto percorrendo io (o Omar).
    Questo per dire che la rete (mia, di Omar, di Luca, eccetera) a cui ti riferisci, in realtà esiste solo nella fantasia di noi navigatori di blog e a nulla servono i nostri sforzi pubblici diretti al grande pubblico.
    Del resto, questa è una legge che vale per tutte le realtà commerciali: se vuoi emergere bene, qualcuno ti deve dare supporto. A me basterebbe che lo facesse anche solo la mia casa editrice. 😉

  34. @Al, è strano perché mi sento di condividere buona parte del tuo discorso ma al tempo stesso anche quello di Matteo. Sono con te quando dici che il marketing è importante (io stesso sono entrato in contatto con eminenti personalità del Noir e della Narrativa più in generale attraverso il battage del mio primo libro ancor prima che per il suo – presunto – valore!) però ritengo che una rete di appassionati serva a veicolare i gusti (per dire, un sacco di persone che non conoscevano i miei romanzi mi hanno conosciuto tramite il blog – il cui «irrobustimento» da un anno a ‘sta parte almeno è diventato parte faticosa della mia giornata).

    Sullo scontento della casa editrice posso capirti: primo perché davvero non ho mai conosciuto autori soddisfatti di come venivano promossi da chi li pubblica (e ne ho conosciuti tanti, in questi anni, anche autori decisamente mainstream) secondo perché io stesso passo dall’entusiasmo per i metodi della mia casa editrice allo sconforto più abissale. (per la cronaca: negli ultimi tempi con ISBN ci siamo chiariti, e riconosco e rispetto la loro lucida visione della realtà: continuano a credere in toto nel mio lavoro – infatti pubblicherò ancora con loro – ma non sanno che pesci prendere con una produzione, la mia, che ha virato sempre più verso il «genere», un settore nel quale loro non sono ferratissimi e soprattutto, credo, non ambiscono ad esserlo; cosa più che legittima, a mio modo di vedere le cose). Ciò detto ritengo il problema un po’ più complesso se lo inquadriamo a grandi livelli. Non so se state seguendo questa bagarre (http://www.minimaetmoralia.it/?p=4701) ma credo che vi siano numerosi spunti che ci riguardano tutti (Meridiano Zero, ISBN, Custerlina, Pegasus e tutto ciò che circola attorno a questo fottutissimo mondo dei libri)…

  35. Ciao al allora non mi sono spiegato io sono per una forma di condivisione con i lettori che e’ la piu’ primitiva ed efficace forma di marketing credo che tutti i cd operatori siano coinvolti in una catena che ha sempre il medesimo scopo vendere e offrire buoni romanzi poi certo eo mi trasmette un senso di comunita’ che ormai vedo ovunque come una specie di hippy ’70 pero’ con meridiano zero avevo provato a fare la stessa cosa e con crossover la nuova imprint di bd ecco l’ho detto provero’ a lavorare ancora di piu’ in questa direzione. ..

  36. Fabio Lotti in ha detto:

    Sono contento di seguire questo blog, e pure di collaborare, così ricco di passione, voglia di fare, di esplorare nuove soluzioni. Un altro esempio della mia vita (i vecchietti fanno sempre così). Anche io ho scritto tre gialletti. Il primo l’ho proposto alla Mursia, la casa editrice dei miei libri di scacchi. Non è stato accettato e allora è stato pubblicato da una piccola casa editrice. A questo se ne sono aggiunti altri due. Sulle diecimila copie vendute. Contento come una pasqua. Non so se mi spiego…

  37. Ognuno nel suo campo d’elezione, ma operiamo tutti all’interno di un settore i cui posti di responsabilità sono in larga parte occupati da persone di non elevatissima competenza specifica (salvo poche e fortunate eccezioni, ma che si contano sulle dita di una mano (nera):-) .

    Il che implica la necessità, per tutti, di avere una testa particolarmente dura e considerarsi, in un certo senso, come la goccia che scava la pietra. Nessuno ci regala niente, e i pesci in faccia sono tanti. L’importante è tenere duro.

  38. Fabio Lotti in ha detto:

    Per precisare meglio il mio pensiero e poi largo ai giovani. Tenere duro, non mollare va bene (il mio cognome è tutto un programma). Però se un autore sceglie un argomento “particolare” che non tira poi, voglio dire, continui pure sulla sua strada se ne è convinto, ma non se la rifaccia sempre con questo e con quell’altro.

  39. Luca, Fabio: interventi da manuale!

  40. @Omar: sì ho letto l’intervento di Marco Cassini: come sempre in modo lucido…ha scoperto l’acqua calda. Voglio dire siamo in piena crisi: oggi più che mai i lettori te li devi cercare, mi spiego? Non sono lì che aspettano il milionesimo romanzo crime questo mi pare chiaro. Bisogna puntare sulla qualità, certo, lo dicono tutti, ma poi ad esempio i lettori che apprezzano certi autori Buon DIo bisogna gratificarli. A tutti quelli che mi comprano Gischler durante l’anno dico ok avete comprato Gischler? Vi è piaciuto? Allora io investo per farlo venire in Italia e farvi parlare con lui e magari scoprirete che dal vivo è anche meglio che da scritto….e lo stesso per la condivisione, le idee, i dibattiti su titoli e copertine, le traduzioni, io voglio che i lettori siano azionisti della mia etichetta, voglio che mi suggeriscano soluzioni, voglio che la facciano crescere con me perchè CROSSOVER sarà tanto mia quanto loro quanto di BD, mi spiego? Questa è la mia visione io sono per una comune totale come a Topanga in California. Pratichiamo la lettura come l’amore libero sono un fottuto hippy se non condividiamo la passione, la lettura le idee non cresceremo mai! Per questo adoro PEGASUS DESCENDING. QUI, in Italia, stiamo vivendo una NUOVA GRANDE DEPRESSIONE mi pare chiaro. MA se saremo uniti torneremo più forti di prima. A Settembre debuttiamo col sito in cui vedrete il roster e ciascuno potrà fare interventi, commentare inediti, scrivere per e con noi.

    Con LA BALLATA DI MILA e MASSIMO CARLOTTO è la stessa cosa: c’è condivisione costante, idee, confronti, suggerimenti, con SUGARPULP idem: ma perchè non riusciamo a unirte i punti di un cerchio che esiste già? Io non credo che sarà un problema, la mia idea è: tutti quelli che amano Lansdale, Gischler, leggano Di MONOPOLI, CUSTERLINA, magari anche STRUKUL eh eh ma è appunto questo il principio, addio steccati cazzo CROSSOVER totale, ok vado a bere eh eh

  41. custerlina in ha detto:

    E no ragazzi miei, qui non si tratta di addossare la colpa agli altri. La casa editrice non è un oratorio dove m’iscrivo e poi gioco a quello che mi pare con chi voglio e come voglio. La casa editrice dovrebbe essere una squadra dove ognuno dei giocatori viene seguito negli allenamenti, consigliato per il meglio e utilizzato al meglio delle sue possibilità e in ragione della sua bravura. Insomma, che senso ha pubblicare un romanzo (e un altro, e un altro) se poi non fai nessuna, e dico nessuna, promozione. Neanche i detersivi si trattano in questa maniera.
    E’ come se Strukul, all’epoca, avesse detto a Gischler: “Ti pubblichiamo in Italia, ma ti devi promuovere da solo, eh!?”.
    Chiudo semplificando: ognuno ha le proprie responsabilità, lo scrittore deve scrivere bene, la casa editrice promuovere il prodotto. Tutto il resto è mentalità da dilettanti di provincia.
    Fine.

  42. Al ti giuro che non capisco, amo il tuo modo di scrivere, ho la sensazione che tu non sia soddisfatto del tuo editore, il punto però è un altro per me, io sto cercando di fare un discorso di condivisione, di allargare il tiro, magari parlando in generale di diffusione di un gusto, di coinvolgimento, che poi mi pare il senso di quello che dicono Luca, Fabio, Omar, Pelf, Vitandrea insomma quello che si fa qua… boh magari non ho capito il tuo pdv. Con Luca ad esempio abbiamo sempre lavorato benissimo insieme durante i gloriosi anni Meridiano Zero, idem con Pelf, con Fabio, Omar, Vitandrea, perchè non rallegrarci e fare fronte comune? Se Luca Conti sta lavorando per lanciare una nuova collana con un altro editore diverso dal mio, io mi esalto perchè 1 sono un suo grande estimatore 2 so che da gennaio tutti quelli che ci stanno avranno non uno ma due nuovi soggetti credibili che porteranno acqua al grande mulino noir-crime-pulp-gore-tacchino ripieno…. te pare?

  43. Beh, Matt, sai che questa cosa della condivisione, di fare gruppo, diciamo massa critica è un qualcosa in cui mi trovi totalmente d’accordo. A ‘sto sito che sembra, finalmente, decollare a settembre avevo già dato la mia dispobilità a Luca, quindi sono contento che riesce a partire, secondo me ne viene fuori qualcosa di buono, perchè su un’unica piattaforma ci saranno più voci e di gente che in modo o nell’altro – dal semplice lettore come me allo scrittore come Gischler – gira intorno a questo mondo. Alla fine senza un po’ di lobby non si va da nessuna parte, a furia di fare le monadi gente come Burke, Nisbet etc non vengono più pubblicati, a furia di correre sparsi il noir e il genere è diventato somemrso da spazzatura scandinava o da robaccia sfornata in stile tayloristico da gente come Patterson. Cazzo, ma dove sono finiti gli scrittori, non so, come Crumley, come Sallis, Willeford, cioè gente che con le sue storie ci racconta il mondo, mica di un minchione di serial killer che ammazza le bambine e mammamiaquantoècattivoeassetatodisangue! Poi ognuno, come è giusto che sia, ha i propri gusti, ma pure io ho i miei e vorrei leggere ben tradotti gli autori più importanti del mondo, miei contemporanei, altrimenti la vita passa e va e ci sono troppe cose belle per non essere lette. Poi, con il confronto, con i consigli reciproci, con il dire perchè a te Neil Smith piace più che a me etc, diobò, si cresce, ci si fa quella cosa che si chiama “cultura”, perchè si riflette con quello che si legge. Ti dirò: io sono felicissimo del successo che sta riscuotendo Pegasus Descending, ogni giorno mi sembra incredibile che centinaia e centinaia di persone spendano una mezz’ora del loro tempo a leggere quello che scrivo, quello che ho da dire, inoltre su un tema di nicchia qual è la letteratura e, ancor di più, di genere, anche perchè i miei gusti non sono molto mainstream. E però io ho, grazie a Pegasus, ho imparato più di quello che ho fatto cnoscere ad altri, credimi. Questi sono i frutti del confronto, altrimenti ognuno rimane nelle sue cazzo di certezze. Se poi si riesce pure a far vendere un autore che si ama, beh, meglio, perchè lo scrivere è un mestiere e gli scrittori mangiano come tutti. A me dispiace per Al, credo anch’io che sia un po’ incazzato con la sua casa editrice e purtroppo non so cosa dire. io non lavorerei così e credo che il metodo Strukul qualcosa dovrebbe aver insegnato ai colelghi uffici stampa. O forse no. Certo, bisogna sbattersi e farsi il culo, bisogna essere, prima di tutto dei lettori appassionati. Altrimenti è tutta fuffa. Io ho come modello Luca Crovi, per me è fantastico, quando scrive o interviste si vede che conosce quello di cui parla e che i libri li legge, tutti, non solo le quarte di copertina o le schede stampa!

    E poi hanno ragione i veci, Luca (ihihih) e Fabio, non bisogna mai mollare. Come diceva Victor a Milano sui suoi inizi, prima della pubblicazione: la parte più difficile è credere in quello che fai e affrontare tutte le salite che ti si parano davanti. Però è un fatto che nonostante la pubblicazione con case editrici importanti gente come Omar e Al siano comunque costretti a dedicare alla scrittura il tempo sottratto al sonno e al relax, perchè per vivere uno scrittore deve anche fare un secondo lavoro e le energie, non ditelo a me, non sono infinite.

  44. Fabio Lotti in ha detto:

    Dare un peso diverso a certi fattori dipende anche in parte dal proprio vissuto. Mi ricordo che da ragazzetto se tornavo a casa con qualche “ammaccatura”, rifilando la colpa agli altri, subito me ne compariva una di stampo familiare. E dunque ho sempre ritenuto fondamentale, riguardo al raggiungimento di certi obiettivi, le mie capacità o incapacità, piuttosto che l’influenza esterna. Questo mi preme sottolinearlo perché mi pare che non la pensiamo tutti allo stesso modo (ed è un bene).

  45. Fabio Lotti in ha detto:

    Insomma, per essere più chiari. Se Custerlina e Fabio Lotti non vendono o vendono poco io dò la colpa a Custerlina (a cui va comunque il mio rispetto) per il settanta-ottanta per cento e a Fabio Lotti il cento per cento. Sono fatto così-

  46. Mi spiace molto, ma è evidente che non riesco a spiegarmi a dovere. Ci rinuncio con la speranza di avervi, un giorno, tutti allo stesso tavolo. Ciao.

  47. Fabio Lotti in ha detto:

    Se con i miei interventi devo creare queste reazioni se ne va il sottoscritto che è l’ultimo arrivato. La differenza di valutazione mi pare semplice. Io la maggior parte dell’eventuale insuccesso di un libro lo attribuisco all’autore (se si tratta di me stesso tutto l’insuccesso) e Custerlina alla mancanza di appoggio della casa editrice. Tutto qui.

  48. Fabio, io non ho mai parlato di insuccesso, ma solo di non adeguato supporto da parte dell’azienda per cui lavoro. Prova a pensare a un commerciale che deve vendere prodotti/servizi di un’azienda e non gli viene fornito né materiale illustrativo, né spese per i viaggi, né un sito web di supporto, né colleghi che gli diano informazioni in caso di necessità, eccetera. Cosa penseresti di questa azienda?

  49. A proposito di avere la testa dura, mi raccontava Elmore Leonard che il suo primo romanzo, “Il grande salto”, è stato rifiutato a suo tempo da ben 84 diverse case editrici. Allo stesso modo, “The Lost Get-Back Boogie”, uno dei libri più belli di James Lee Burke (e purtroppo ancora inedito in Italia) ha collezionato, prima della pubblicazione, la bellezza di 111 rifiuti (per poi entrare, appena uscito, nella rosa dei candidati al Pulitzer).

    Questo solo per rimarcare la tenacia di certi autori che oggi consideriamo tra i maggiori maestri del genere (ma, va detto, anche dei loro agenti, che sapevano riconoscere la qualità quando gli si parava davanti).

  50. Paolo in ha detto:

    Luca, una domanda a bruciapelo, qual è secondo te il miglior romanzo di Elmore Leonard e di Sallis?

    • Risposta a bruciapelo: Leonard: “LaBrava,” Sallis: “Death Will Have Your Eyes.”

      Meno a bruciapelo, per quanto riguarda Leonard ho una grande passione anche per “Split Images” e “Swag,” mentre per quanto riguarda Sallis sono molto affezionato al ciclo di Lew Griffin (che, in realtà, è un unico grande romanzo diviso in sei volumi, ed è un vero peccato che in Italia siano usciti solo i primi tre).

  51. Fabio Lotti in ha detto:

    Custerlina io ho letto il tuo libro e ne ho comprate anche due copie. A me è parso interessante con alcuni distinguo ma perché leggo di tutto. Come argomento dubito che possa attrarre molti lettori anche se la casa editrice facesse una pubblicità a tappeto. Questo è il mio parere. Dal punto di vista della scrittura, poi, mi è piaciuto molto di più il tuo racconto pubblicato su “Sugarpulp” (complimenti) mentre nel romanzo un pò ti sei perso. E questo è un altro parere con tutti i limiti che mi porto appresso.

    • @Fabio: scusa ma perché da una discussione generale siamo/siete finiti su un terreno così personale? Non credo che fosse in dubbio il gusto del singolo o l’efficacia di questo o quel romanzo: direi che – proprio perché come dice Luca siamo più o meno tutti professionisti del settore – si stesse cercando di fare una analisi del fenomeno nel complesso…

      (anche oggi Marco Cassini parla della distribuzione su Repubblica: per quanto risaputo mi sembra un discorso interessante, personalmente ho fatto i conti col problema della distribuzione sian dal primo romanzo)

  52. Carissimi che bello leggervi mi pare di stare in biblioteca con il camino acceso e gli amici di una vita a parlare di noir. Al volevo specificare una cosa: guarda che hai perfettamente ragione tu quando dici che il tuo editore deve promuoverti e mi pare chiaro che per mano nera e in generale per la collana vidocq forse non sono riusciti a farne parlare adeguatamente e’ anche vero che un editore come baldini ha una serie di priorita’ quando pubblica e bisognerebbe capire se quella collana rientrasse in quest’ottica, forse ma dico forse, editori medio-grandi come eo o elliot ti seguono meglio di un editore molto grande, detto questo il mio auspicio e’ che sul tuo prossimo libro si possa fare un gran baccano eh eh

  53. @omar grande e infatti massimo carlotto a maggio ha presentato il suo romanzo in anteprima presso lo showroom di pde nordest a tutti i librai del triveneto questo significa essere parte del meccanismo e lavorare tutti allo stesso risultato autore editore librai distribuzione e promozione e stampa che poi e’ quello che sto cercando di dire io

    • Diciamo comunque – ed è in sostanza ciò cui si riferiva oggi Cassini su Repubblica, se ho capito bene – che l’acquisizione di un distributore indipendente come PDE (che era, forse ancora lo è, la seconda realtà distributiva in Italia) da parte di Feltrinelli, ovvero un gruppo che è anche casa editrice, ha innescato un meccanismo perverso che ha finito per penalizzare oltre misura, e in certi casi per uccidere, molti piccoli editori. Insomma, un grosso editore è da qualche anno in grado di decidere la sorte di un’enorme quantità di molti suoi potenziali (anche se piccoli) concorrenti.

      • direi non un problema da poco, Luca… (che va a sommarsi alla serie di minute distorsioni di un mercato piccolo e drogato da mille conflitti d’interesse come il nostro)

  54. Fabio Lotti in ha detto:

    @Sartoris
    Forse ho sbagliato facendomi trascinare dall’istinto. Però il mio contributo, anche se isolato, è quello di richiamare l’attenzione sulle capacità dell’individuo senza le quali non si va da nessuna parte. D’accordo con il “baccano” di Matteo che mi resta pure simpatico ma se sotto non c’è la qualità il “trucco” dura poco.

  55. @Fabio: naturalmente mi sono permesso di “richiamarvi all’ordine” perché credo nel valore del tuo/vostro contributo, e parecchio anche.
    Non c’è dubbio che la capacità dell’individuo sia fondamentale, ma se permetti questo è un aspetto che una persona come Al (o come il sottoscritto) ha già assorbito e metabolizzato nel momento in cui ha deciso di continuare a scrivere nonostante i rifiuti o i silenzi dei primi tempi (anche io, Luca, come il buon Leonard, e mi si perdoni il paragone blasfemo, di NO dalle case editrici prima di pubblicare ne ho ricevuti a iosa: ora grazie a Dio sono in parecchi a chiedermi di passare con loro, ma francamente mi sembra – appunto – di essere passato a un livello superiore: non è più questione di con CHI pubblicare ma si tratta di capire COME e QUANTO valorizzare il proprio operato, identificando semmai a quale target – se esiste – bisogna riferirsi). Ecco perché problemi distributivi e promozionali mi interessano molto più delle semplici beghe tra esperti del settore (Fabio, ribadisco il concetto: ho estremo rispetto per ciò che dici e scrivi e non vorrei pensassi che vengo a fare il maestrino, ci mancherebbe).

  56. Fabio Lotti in ha detto:

    @Sartoris
    Non c’è problema, gli scambi servono a fare chiarezza. Terminano i qui i miei interventi seri. Con un in bocca al lupo a tutti quanti!

  57. Grande Omar, ti nomino ufficialmente moderatore vicario di questo fottuto blog quando il sottoscritto è al lavoro o non può intervenire a tenere a bada quella sporca dozzina! Comunque, mi raccomando ragazzi, non andiamo sul personale, almeno in letteratura siamo laici! 🙂

    @Fabio: dici bene sulla qualità, è la conditio sine qua non. E però non è un caso che questa bellissima discussione si stia svolgendo in calce a una recensione di un libro di James Lee Burke e che il punto sia come mai uno scrittore indubbiamente di qualità – al di là dei gusti personali, intendiamoci. E’ una roba oggettiva -, tra il meglio che il noir contemporaneo possa offrire, beh, da noi non verrà più pubblicato/tradotto per scarse vendite. Il punto è, ribaltando il tuo discorso, che purtroppo la qualità non basta, se non c’è la promozione, il marketing, lo sbattersi il mercato ti fa fuori e proliferano scandinavi su scandinavi, tutti uguali, prolissi e di gran moda. Che poi sarei pure curioso di sapere quanto vendono, perchè a me sembra una cosa di gran modo, cioè, ogni editore deve avere il suo emulo di Larrson altrimenti non è un editore serio.

    @Luca, Omar etc: beh, certo, il tema della distribuzione è fondamentale. Come, direi, l’avere quella sufficiente forza commerciale per rimanere il più a lungo possibile sugli scaffali novità all’ingresso delle grosse catene librarie. L’ultimo di Burke, tanto per dirne una, alla Mondadori dove vado io non l’hanno mai avuto! Mai! E cicredo che non vende! La legge di Fonzi è arrivata in due copie e non sono passate dalle novità, ma sono finite dritte di costa per ordine alfabetico. E questo, a parte chi cerca quel titolo, significa ammazzare il titolo e anni di lavoro sulla tastiera. Stessa cosa per tutti i titoli Meridiano. Insomma, i piccoli rimarranno sempre piccoli e i grandi potranno investire su spazzatura e spazzatura. Siamo alle solite: è una questione di potere. C’è chi ce l’ha e chi no. Non so come sia negli altri paesi, ma in Italia gira tutto così.

    @Matt: vediamo come va con questa nuova comune,, speriamo, la cosa importante sarebbe, per un editore, sapere già che tot copie di un titolo sono vendute, una sorta di prevendita. Cioè, io pubblico il nuovo Burke e so già che vendo questo, più o meno, e traduzione e diritti sono pagati. Quindi si parte da minori spese. Avere un nucleo forte credo significhi anche questo ed è questo, penso, quello che tu hai fatto, in particolare, con Gischler.

  58. Fabio Lotti in ha detto:

    Caro Pelfo
    dopo essere stato serioso e palloso con il mio vetusto concetto della forza dell’individuo ecco che ritorno un po’ birichino con “L’elogio della tomba”
    http://www.sherlockmagazine.it/rubriche/4414.
    Buona domenica a tutti!

  59. Giuseppe in ha detto:

    Ciao a tutti,
    Oggi uscito da lavoro sono andato in libreria, una bella grande all’interno di un centro commerciale. Ci si aspetta di trovarlo almeno un libro di uno scrittore del calibro di Burke…invece…niente… Pioggia al neon, cosi’ mi hanno detto, sara’ difficile trovarlo perché da ordinare presso una casa editrice minore. L’occhio del ciclone invece e’ della Fanucci, ma anche in questo caso, l,ho dovuto ordinare…

    • Eh, Giuseppe, qui su Pegasus Descending sfondi una porta aperta con Burke. Il titolo del blog è addirittura un omaggio a un suo romanzo! Comunque non disperare, anche se il futuro non pare roseo – anche se Sergio Fanucci mi ha personalmente, tramite il blog, confermato che leggeremo ancora i nuovi Burke. Ma finchè non li ho in mano… – per il passato possiamo provvedere, tra comprovendolibri.it e gli editori si trova ancora molto. Pioggia al neon è stato pubblicato da Meridiano Zero, casa editrice che più che minore definirei medio-piccola, ma cazzutissima e di una qualità raramente avvicinata dai cosiddetti grandi! Puoi metterti in contatto direttamente con loro dal sito internet, altrimenti, se vuoi, posso provare pure io a mandare una mail a Marco Vicentini, il boss, e vediamo se hanno ancora una copia da spedirti! E comunque continua a leggere Burke, non te ne pentirai!

      ps: un suo racconto è uscito da poche settimane nella raccolta curata da Ellroy e pubblicata da Newton&Compton…

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