Pegasus Descending

Pulp, thriller, hard boiled, noir

L’osservatore – Franck Thilliez

L’osservatore

L’OSSERVATORE (Le Syndrome E)
di Franck Thilliez
ed. Nord
Traduzione di Mara Dompè

Tutto inizia un po’ per caso, come spesso accade nella vita. Ludovic Sénéchal, una sorta di impiegato pubblico grigio e con la pelata estesa, è un cinefilo di quelli duri e puri, uno di quei collezionisti in grado di avere un orgasmo solo davanti al loro pezzo raro che intravedono, magari anche solo sbirciandolo dal buco della serratura. Potete quindi immaginare la gioia del buon Ludovic quando legge sulle pagine degli annunci di un quotidiano francese la messa in vendita di una vasta collezione di vecchi film su pellicola. Il venditore, Luc Szpilman, ha ricevuto in eredità la cineteca dal padre appena scomparso. E a lui interessano la musica, la birra e le ragazze, mica quell’ammasso di filmini e cortometraggi, muti e in bianconero, che fanno venire il latte alle ginocchia.

Dalla massa Ludovic tira fuori una pellicola di una decina di minuti, forse un quarto d’ora, senza titolo né iscrizioni particolari in grado di identificarla o inquadrarla storicamente. Anche il regista è ignoto, così come gli attori e il tema trattato. Il collezionista di fiuto, in questi casi, senza puzza di affarone, come quelli che comprano dal rigattiere un vecchio quadro di un pittore di provincia del ‘600 per poi scoprire di avere tra le mani un Caravaggio perduto.

Una volta a casa, messosi comodo nella sala di proiezione ricreata nello scantinato, inforca la pellicola e si spara i quindici minuti di pellicola. Robe strane, un occhio che viene aperto come fosse un uovo sodo, una donna elegante e severa, una bimba sull’altalena e un toro incazzato. Una cagata pazzesca, direbbe Fantozzi, non fosse però, che quella cagata pazzesca ha reso Ludovic completamente cieco. Disperato compone il primo numero sulla rubrica del telefonino, quello della ex compagna e poliziotta Lucie Henebelle, in quel momento in ospedale al capezzale della figlia, messa in ginocchio da una brutta gastroenterite.

Quello che sembra un fenomeno inspiegabile e, forse, frutto di un tumore cerebrale o di una qualche strana forma di sindrome a carattere isterico, appassionerà a tal punto Lucie da trascinarla in una storia intricata e torbida tra la Francia e il Canada, inseguendo una buona sporta di fantasmi, teorie scientifiche aberranti e un killer psicopatico che da decenni miete vittime in giro per il mondo strappando loro occhi e cervello. In questa indagine, forse la più pericolosa per la sua vita, non sarà sola, affiancata dal burbero e schizofrenico commissario Franck Sharko, alle prese, lui, con i propri fantasmi prodotti dalla morte improvvisa delle amate moglie e figlia.

Sharko è un profiler, uno chiamato sul luogo di un delitto per scovare, da una manciata di indizi, la psicologia e le caratteristiche di chi l’ha commesso. E cosa hanno a che spartire, allora, i cinque cadaveri trovati sotterrati nel Nord della Francia con delle morti apparentemente analoghe avvenute molti anni prima in Egitto. E cos’è la Sindrome E?

Franck Thilliez, autore francese di thriller di successo, imbastisce un romanzo piuttosto classico nella struttura, avviando il suo L’osservatore con due storie parallele che, a un certo punto, si intrecciano in maniera indissolubile dimostrandosi come un unico filone narrativo. Seppure i personaggi paghino molto a una certa, pedissequa, standardizzazione che non smette di stancare – basta con i problemi psicologici di questo e quello, basta con le divorziate con figli e i poliziotti ombrosi con i morti in casa, basta… – i loro cazzi privati non interferiscono troppo nel merito della storia stessa che, almeno nella sua prima metà, evidenzia una trama a tratti appassionante e in grado di incuriosire non poco grazie al miscuglio di thriller nudo e crudo, di tecnica e storia cinematografica, di teorie psicologiche sulla manipolazione della mente, messaggi subliminali e neurologia interventistica.

Franck Thilliez

Visto che Thilliez, però, vive nell’estremo Nord della Francia, gli influssi scandinavi non hanno mancato di lasciare il segno. Come un vento che porta giù il lezzo del letame delle renne, anche la scrittura dell’autore francese, nella seconda metà de L’osservatore, diventa ipertrofica, sprecando pagine su pagine in una marea di cazzate di scarso interesse che, come spesso accade, invece di dare corpo e sostanza ai personaggi, umanizzandoli, spingono verso il tedio il lettore a cui meno non gliene può fregare. Thilliez continua a spendere parole nel tentativo di tirare oltre le quattrocento pagine una storia che se si fosse mantenuta nelle duecentocinquanta sarebbe stata in grado di sostenere al meglio una tensione e una curiosità invece destinate, inesorabilmente, a scemare con lo scorrere dei capitoli, in parte inficiando quell’entusiasmo iniziale che la prima parte aveva promesso. Thilliez purtroppo viene trascinato nel vortice dei libri “tanto al chilo”, una sindrome figlia di un marketing che tende a omologare, anche in termini quantitativi, i prodotti, libri compresi, rovinando in tale maniere anche idee decisamente interessanti come quelle qui sviluppate dall’autore de La stanza dei morti, dando necessariamente forma a un libro con una seconda non all’altezza della prima.

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17 pensieri su “L’osservatore – Franck Thilliez

  1. Gigistar in ha detto:

    Di sicuro ultimamente la fantasia nei titoli non è certo il piatto forte tra autori ed editori.

    Inizio a perdere il conto tra l’Alfabetista e l’Esecutore, il Superstite e la Psichiatra, l’Enigmista e il Collezionista (in quest’ultima categoria in realtà sono parecchi, con un club tutto per loro; ce n’è di occhi e di morte, di ossa e di bambini… ufff quanti!). Per non parlare del Sognatore e il Persecutore, il Persuasore e il Chirurgo, l’Ipnotista e il Suggeritore, il Predicatore e l’Addestratore, lo Scalpellino e l’Inseguitore…

    Un caloroso benvenuto quindi all’Osservatore, che spero non avrà la pretesa di farsi ricordare per il titolo!

    Suggerirei pertanto agli addetti ai lavori di affrettare i tempi per accaparrarsi le ultime disponibilità tra le categorie rimanenti. Titoli succulenti ed evocativi ne rimangono ormai pochi. Credo che nel 2012 con un po’ di fortuna potremo trovare in libreria gemme del calibro di:

    – Il Netturbino: storia sordida di un serial killer che, dietro i panni miti di operatore ecologico, si sbarazza degli ingombranti rimasugli delle vittime seminandoli nei cassonetti di mezza città.

    – Il Commercialista: tentando di compilare un 730 particolarmente ostico, il protagonista cade in trance e ha visioni inquietanti di evasori fiscali che aprono società di comodo in Lussemburgo e spacciano fatture false.

    – Il Terzino Sinistro: racconto allucinato sul patinato mondo dello sport. Chi sta eliminando con ferocia gli attaccanti del campionato? Accanto a ciascun corpo le autorità rinvengono soltanto un colletto inamidato. I sospetti cadono su un difensore laterale dal passato torbido, spesso vittima dei cori dei tifosi e detto “Ferro da stiro” per il suo tocco felpato…

    • Ahahaha, grande Gigistar! Questa cosa dei titoli l’aveva già tirata fuori pure l’attento Fabio Lotti, forse ci aveva pure scritto un pezzetto dei suoi… credo che lo scopo sia quello di avere un titolo breve e che si ricordi facilmente. Nel caso specifico, il titolo L’osservatore non c’entra granchè con la storia, probabilmente un titolo come La Sindrome E sarebbe stato più opportuno. Per quel che mi riguarda, inoltre, salvo rarissimi casi, sono per la traduzione letterale del titolo straniero piuttosto che lanciarsi in fantasiose novità…

  2. Fabio Lotti in ha detto:

    Mi associo a Gigistar. Ecco che cosa avevo scritto tempo fa. “Oggi ne ho trovati altri alla Feltrinelli: “Il persecutore” (due! Uno di Jan Rankin e uno di Rory Clements), “L’incendiario”, “Il professore”, “Il disertore” e “Il poeta” gia conosciuto di Connolly.
    Stasera nelle librerie di Siena ho trovato pure “L’enigmista”, “Il burattinaio”, “Il sognatore”, “L’impostore”, “Il carnefice”, “Il disertore”.
    C’è pure, fresco fresco, “L’addestratore” di Deaver,
    “Il suggeritore”, “Il manipolatore”,
    “L’esecutore”, (addirittura due! Quello di Lars Kepler e quello di Jon Evans e
    Andrea Mutti), “Il predicatore”, “Il negoziatore” (tutto in “ore”),
    “L’alfabetista”, “L’ipnotista”, La psichiatra” “Il mummificatore”…”

  3. Ragazzi miei, questa narrativa è un disastro e ancor di più lo sono i lettori, che si stanno comportando con i libri esattamente come si comportano con i vestiti, i detersivi, la musica eccetera. E’ sconsolante.

    • Gigistar in ha detto:

      Quello che dico è che titoli che suonano tutti uguali non fanno che appiattire il romanzo, invece di farlo spiccare dalla massa (che poi dovrebbe essere uno degli scopi di un buon titolo).

      Che TUTTA questa narrativa sia un disastro… non so, mi sembra un giudizio un po’ troppo severo e che tende a fare di tutta l’erba un fascio. E, col massimo rispetto, pure un filino snob da un certo punto di vista.

      Penso che la maggior parte di queste storie abbia una finalità essenzialmente ludica, ricreativa; sono storie più o meno ad alta tensione che vogliono regalare qualche ora di svago, non certo lanciarne l’autore nell’empireo dei grandi romanzieri alla Balzac. Sono l’equivalente di un buon film d’azione, senza troppe pretese.

      Credo comunque che anche tra questi vi siano opere di livello superiore, che per un motivo o per un altro possono ritagliarsi qualche stelletta in più. Non ho letto nessuno dei due, ma per esempio L’Ipnotista è stato accolto da buone recensioni e favore del pubblico. Il Chirurgo della Gerritsen negli USA ha venduto da pazzi…

      Nota di chiusura: Il Terzino Sinistro secondo me è una storia ad alto potenziale… 😉

  4. Pure io intendo questo genere di lavori come delle opere di evasione e credo che la stessa cosa facciano anche gli autori, visto che cercano tutti di omologarsi a dei canoni più o meno prestabiliti. Hanno anche un successo mica male, leggevo pochi giorni fa i dati di vendita – forse sul blog di Luca Crovi – della Newton e sono impressionanti. Certo, anche Connelly e Child scrivono opere essenzialmente d’evasione, anche se su livelli superiori, dimostrando che evasione e buona letteratura non sono due contrari. Per fortuna, comunque, sul mercato editoriale si trova anche molto altro in grado di soddisfare palati un po’ più raffinati anche se, certo, le politiche di marketing in questi casi possono fare la differenza se alcuni libri si trovano ovunque a prezzi stracciati e altri devi cercarli con il lanternino e a prezzi più alti. Discorso molto complesso e, forse, anche senza una autentica e valida conclusione.

  5. Sì, Gigistar, sono molto severo, ma credo di essere anche molto onesto. 😉 C’è un’inflazione di thriller di bassa qualità che però beneficiano di due fattori: un marketing molto aggressivo e la scarsa disponibilità del lettore medio verso le novità e/o verso qualcosa di più impegnativo.

    Naturalmente generalizzo, ma del resto converrai con me che in questo spazio non possiamo analizzare ogni singolo prodotto. E’ ovvio che, come in qualsiasi ambito, tra la fuffa spicca qualche buon libro, ma non sento neanche il bisogno di affermarlo ogni volta che faccio una critica perché lo ritengo implicito. Bisogna anche dire, però, che io non ho usato l’aggettivo “TUTTA”. 🙂

    Comunque sia, perdonami se sono così franco, ma il tuo ragionamento rappresenta bene quello dei consumatori inconsapevoli: “Non ho letto nessuno dei due, ma per esempio L’Ipnotista è stato accolto da buone recensioni e favore del pubblico. Il Chirurgo della Gerritsen negli USA ha venduto da pazzi…” Insomma, ci basiamo sul successo di vendita o sulle recensioni positive di qualcuno per effettuare l’acquisto incrementando così esponenzialmente il volume delle vendite. Ma tu credi veramente che Dash lava più bianco? 😀

    Riguardo alla finalità ludica, ti dico solo questo: anche Pulp Fiction e l’ispettore Coliandro (oppure The Shield e Squadra Mobile) ce l’hanno. Eppure c’è una certa differenza, non credi?

    • Gigistar in ha detto:

      Ciao Al,
      la discussione è come sempre intrigante, e già mi sembra prendere la piega di altre conversazioni simili proprio qui su Pegasus. Comunque mi aggancio ai tuoi 4 paragrafi dicendo che:

      1°: lo sottoscrivo in pieno. Ho già scritto altre volte, proprio qui, che mi piacerebbe vedere marketing aggressivo fatto anche su opere di qualità (per me le case editrici dovrebbero avere ANCHE una finalità di divulgazione e accrescimento culturale del proprio pubblico).

      2°: sottoscrivo pure questo. Confermo che non hai scritto “TUTTA”, ma perdonami non mi hai dato proprio elementi per capire che ti riferissi a “UNA PARTE”. 😉

      3°: fiuuu, fortuna che il mio processo di scelta è un po’ più raffinato di come lo hai interpretato. Anzi, a pensarci bene anche questo sarebbe un bel tema da affrontare (Pelf??).
      Comunque, quel che tentavo di dire è che, pur non avendo letto nessuno di quei libri, IMMAGINO che ve ne siano alcuni meritevoli di maggiore considerazione, ANCHE alla luce del fatto che alcuni hanno avuto grande successo di pubblico e numerose recensioni positive. Mi pare abbastanza evidente che non siano questi i due parametri fondamentali per giudicare il valore letterario di un’opera; l’unico modo vero per farlo sarebbe leggerli. Di certo però possono essere i due parametri fondamentali per orientare la scelta d’acquisto di chi cerca puro “svago da ombrellone”.

      4°: sottoscrivo per forza: è esattamente quello che intendevo dire col mio intervento precedente. Tra tanti prodotti che a uno sguardo superficiale paiono affini come genere, in realtà ci possono essere grandi differenze di qualità. Faccio notare che sia Pulp Fiction che The Shield sono grandi successi di critica e pubblico, ergo anche usando solo questi due, come parametri di scelta, ci si può imbattere in roba di valore.

  6. Fabio Lotti in ha detto:

    La scrittura. Uno degli indicatori più importanti della bontà di un libro (non il solo) è la scrittura. Ultimamente mi sono buttato su questa pletora di opere lontane dai miei gusti perché mi piace non farmi mancare niente. Insomma il libro più o meno classico te lo sparo perfino al gabinetto ed è giusto fare anche una pisciatina del gusto moderno.
    E dunque se “Il divoratore” di Lorenza Ghinelli si presenta discretamente accettabile da questo punto di vista, “Il mummificatore” di Nicola Brunialti è una storiella leggerina con spunti francamente scontati espressi in maniera simpatica e niente di più. Tanto per portare due esempi.
    Il nostro Luca Conti scrive che “il livello medio della produzione italiana recente, fa accapponare la pelle”. Per quanto mi riguarda, relativo a ciò che leggo, lo trovo mediocre. Nel senso di facile, banale, scontato. Anche se, magari, non pende un capello.

  7. Sempre belle e analitiche le tue recensioni Andrea, faccio il mio ingresso su WordPress e speriamo che il dio dei recensori me la mandi buona. Dell’osservatore ho un ricordo bizzarro, condivido le tue considerazioni su una certa discontinuità tra prima e seconda parte e temo sia dovuta al fatto che il buon vecchio Frank mentre scrive un libro è già proiettato verso il prossimo un po’ come se pretendessero dagli scrittori una certa tendenza alla catena di montaggio. Se solo avesse il coraggio di spezzare questo odioso meccanismo, sono certa che scriverebbe ottimi libri. Le potenzialità le ha, le idee pure, dovrebbe darsi più tempo.

    • Grazie cara e benvenuta su WordPress! A me il passo diverso tra prima e seconda parte pare evidente. Non so se questo sia dovuto al’eccesso di lavoro, non ho mai avuto modo di parlare con Thilliez, però, se è vero, è un problema che sia lui sia il suo editore dovrebbe cercare di risolvere. Tra l’altro sarebbe una cosa molto grave, perchè la qualità, in teoria, dovrebbe sempre venire prima della qualità, anche se capisco che i soldi fanno gola un po’ a tutti e qualche fondamentale può sfuggire… comunque, non ho letto altro di Thilliez, mi limito a una opinione su questo L’osservatore, la cui prima parte mi aveva addirittura entusiasmato e me l’ero bevuta in pochissimo tempo, mentre nella seconda ho fatto più fatica. Non so se il problema è nella scrittura, come dice Fabio, alla fine lo leggo in traduzione, a meno di comprendere con il termine “scrittura” un po’ tutto, struttura compresa, oltre allo stile.

  8. Ma penso, parere personale magari la mia analisi è approssimativa e superficiale, che Frank sia stato investito da un successo almeno in Francia che l’ha costretto a questa tensione. Non so è un po’ come se i talenti debbano essere sfruttati prima che il successo passi, facendo dei libri dei beni di consumo usa e getta. Se ti capita di leggere i suoi primi libri questa tensione non c’era, non si aspettava da lui niente e questo gli dava la tranquillità necessaria per creare. Frank è davvero una persona piacevole e simpatica, forse troppo buona dovrebbe imporsi di più con gli editori ecco. E’ pieno di idee anche originali e proprio per questo dovrebbe darsi più tempo, essere meno dispersivo. La logica di firmare contratti che ti obbligano a pubblicare un libro all’anno o anche due, non so se sia il suo caso, andrebbe abolita. Ogni scrittore dovrebbe pubblicare solo quando è pronto e al diavolo il marketing e tutto il resto.

  9. Fabio Lotti in ha detto:

    Il primo libro “La stanza dei morti” non mi era dispiaciuto. La protagonista Lucie Hennebelle non era la solita gnoccolona da far girare la testa ma una più o meno normale con il seno piccolo ed il culo (pardon) grande. Tutta attaccata al suo taccuino mi aveva fatto ricordare il personaggio di Anna Travis in “Dalia rossa” di Lynda La Plante, un malloppone che mi aveva sfiancato. Altro scatto della memoria quando un altro personaggio, Sylvain, incomincia a mordersi le guance come nel bel racconto di Carlo Lucarelli “Il terzo sparo” in “Crimini” di Autori vari pubblicato dalla Einaudi stile libero 2005, dove la poliziotta Lara D’angelo non fa che mordicchiarsi, appunto, le guance interne. Un paio di rimandi al gioco degli scacchi mi avevano, poi, convinto della bontà del prodotto…:-)

  10. @Giulia: sottoscrivo in pieno, almeno nei termini generali. Non conosco Thilliez così come di suo ho letto solo questo lavoro, ma considerare gli scrittori delle vacche da latte non è una gran trovata. Dovrebbe stare tutto all’intelligenza e alla sensibilità dell’editore capire che la scrittura è un processo produttivo artistico he merita tempo e pazienza e che è meglio un romanzo in meno ma migliore. Invece, commercialmente, non è così, si deve cavalcare l’onda. E’ un tema su cui, come spesso accade, la posizione migliore è quella intermedia, la più equilibrata. Ci sono scrittori che possono permettersi un libro ogni dieci anni, altri devono sfornarne tre all’anno. E altri che vengono incastrati dalle proprie case editrici, vedi in bravo Adamo Dagradi.

    @Fabio: Lucie Hennebelle sembra che assomigli a Jodie Foster, almeno agli occhi del commissario Sharko…

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