Pegasus Descending

Pulp, thriller, hard boiled, noir

L’assassino che è in me (The Killer Inside Me) – Jim Thompson

The Killer Inside Me

L’ASSASSINO CHE È IN ME (The Killer Inside Me)
di Jim Thompson
ed. Fanucci
Traduzione di Anna Martini

Dopo aver letto L’assassino che è in me (The Killer Inside Me), uno dei capolavori di Jim Thompson e della letteratura di genere in termini assoluti, non è forse più possibile continuare a guardare le persone che ci stanno attorno con gli stessi occhi di prima. Le notizie di cronaca nera, a dire il vero, già ci spingono quotidianamente a percorrere con gamba ben distesa questa fottuta china discendente e ad attivare in ognuno di noi quel detonatore misantropico già presente per natura. L’homo homini lupus teorizzato da Thomas Hobbes è sempre stato uno dei concetti in grado di avvicinare la scienza politica e la teoria dello Stato alla più intima analisi della psicologia umana, una delle concetualizzazioni di maggior fascino e interesse all’interno della storia delle idee intorno alla cosa pubblica e al suo governo. E poi, diciamocelo, Hobbes aveva ragione da vendere: lascia l’uomo senza legge e questo ti fa un casino della miseria. Allo stesso tempo, anche se ben quattrocento anni dopo, una cosa simile la scrisse l’etologo Konrad Lorenz in merito al rapporto tra aggressività ed essere umano. L’uomo è, secondo Lorenz, l’animale più pericoloso mai apparso sulla faccia della Terra. 

Io non so se Jim Thompson abbia mai letto Hobbes, mentre suppongo che Lorenz lo abbia fatto con i romanzi dello scrittore dell’Oklahoma e padre di una delle menti criminali più straordinarie della storia della letteratura noir mondiale. Hobbes, Lorenz e tanti altri, infatti, ci hanno parlato di quanto scritto sopra dall’esterno, in base a evidenze empiriche, osservazioni sul campo, più raramente esperimenti di laboratorio o raffinate teorie di difficile dimostrazione, come sempre accade all’interno delle scienze sociali o in quelle in cui la falsificazione delle ipotesi di popperiana memoria risulta soggetta a errori dovuti tanto ai sistemi di misurazioni quanto alla intrinseca intelligenza del soggetto studiato. Thompson, all’opposto, ci parla del Male e della follia da dentro, un po’ come facevano i cartoni animati di Siamo fatti così che guardavo da piccolo. Ma se osservare il cervello di un pazzo, di un criminale o di un genio, poco ci può dire rispetto ai suoi pensieri o agli schemi mentali da questi utilizzati per modellizzare la realtà, la fantasia e la capacità empatica di uno scrittore, diversamente, fanno la differenza, catapultandoci in una dimensione alternativa del tutto aliena alle nostre capacità e possibilità di indagine e di comprensione.

Parlando di follia criminale si possono compulsare tonnellate di saggi di psicologia, psichiatria e criminologia, ne sono state infatti riempite intere biblioteche belle grosse. Oppure si può leggere Thompson e capire. Capire non con la ragione – è mai possibile, forse, capire la follia con la ragione? – ma con quella componente emozionale che è parte di ognuno di noi e che tanta importanza riveste nella nostra vita di ogni giorno. Lo stesso Thompson, forse, sembra volerci suggerire questo. È infatti l’apice di una tenebrosa ironia la descrizione e l’elencazione, che fa lo scrittore americano, di titoli e autori di tomi di psichiatria conservati nella biblioteca paterna di Lou Ford, il vicesceriffo di una piccola cittadina del Texas assoluto protagonista di questo L’assassino che è in me, già avidamente letti e più volte consultati da quest’ultimo.

Abbiamo un problema, Houston. Lou Ford è perfettamente consapevole della propria malattia, come la chiama lui, quell’irrefrenabile pulsione a uccidere che egli imputa a un ormai lontano, ma sempre vicino, trauma adolescenziale. Ma la comprensione del problema e la consapevolezza della sua presenza, a differenza della grande maggioranza dei casi, non è per niente un primo passo verso la sua risoluzione. La malattia, all’opposto, diventa anche un espediente per sedare la sete di vendetta che alberga all’interno della mente del vicesceriffo, anche se la cosa gli prende un po’ la mano e a un certo punto i morti intorno a lui iniziano a diventare un po’ troppi per essere solo ed esclusivamente frutto del caso.

La vecchia copertina ed. Fanucci

È l’oscurità che alberga dentro l’animo umano il primo e reale protagonista di questo romanzo di Jim Thompson, una oscurità in cui il lettore si perde, i parametri abituali si ribaltano e nei confronti della quale il lume della nostra ragione altro non è che una candela tremolante e fioca: <<T-ti dico una cosa>> continuò. <<T-ti dico una cosa e scommetto che non ci hai mai pensato.>>
<<Cosa?>>
<<L’ora più chiara è sempre prima del buio.>>
Stanco com’ero, risi. <<L’hai detta sbagliata, Bob>> dissi. <<Volevi dire…>>
<<No-no>> disse. <<Sei tu che l’hai capita sbagliata.>> [pg. 80]

L’uso della prima persona singolare, inoltre, ci consente di penetrare in tutti i recessi di una delle più formidabili descrizioni di una mente criminale che sia mai stata fatta in letteratura, come anche correttamente sottolineato da Stanley Kubrick, colui che dopo aver letto questo romanzo chiamerà Thompson a Hollywood affinché collabori nelle vesti di sceneggiatore per i plot dei successivi lavori del regista.  

Era il 1952 quando questo romanzo vedeva la luce. Il 1952. Un mondo fa. Ma Thompson era già avanti, rispetto ai suoi contemporanei e rispetto a noi, suoi postumi. A rileggerlo oggi, The Killer Inside Me, conserva ancora tutta la sua tremenda contemporaneità, dimostrando la tenuta propria solo dei grandi classici.

Questo libro è un capolavoro e so di aver scritto, con ciò, una delle più grandi banalità che mai si potrebbero scrivere di questo romanzo. Ma è anche la banalità più vera che mi sia mai capitato di scrivere.

Pubblico questa mia recensione di The Killer Inside Me dopo la rilettura del grandissimo romanzo di Jim Thompson motivata dalla prossima uscita – il 26 Novembre – dell’omonimo film che ne è stato tratto, firmato dal regista Michael Winterbottom. Introvabile la prima edizione (della Fanucci), la Fanucci ne ha ristampata una “nuova” per l’occasione. Grazie a una segnalazione di Walter, un affezionato amico di Pegasus Descending, avevamo già avuto modo di parlare di questa pellicola. Alcuni lettori di questo blog avevano già avuto la fortuna di vedere il film a quel tempo, sottolineandone luci e ombre. Io, per me, temo che dovrò aspettare la sua uscita in dvd per poter esprimere un giudizio. Il cinema è ormai una inafferrabile chimera. Chi fosse interessato può andarsi a leggere il precedente post e, soprattutto, i rispettivi commenti, mentre qui sotto ripropongo con piacere il trailer del film, questa volta doppiato in italiano:  

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38 pensieri su “L’assassino che è in me (The Killer Inside Me) – Jim Thompson

  1. Vitandrea in ha detto:

    Recensione bella ricca! Complimenti. Con le tue citazioni mi hai fatto tornare in mente due libri. Non c’entrano niente con Thompson, anzi forse sì. Uno è Il Signore delle mosche di William Golding (lascia l’uomo senza leggi e succede il casino). L’altro è Cell del tuo odiato Stephen King (cita Lorenz in epigrafe). Inoltre King ha dedicato a Thompson un suo romanzo firmato con lo pseudonimo di Richard Bachman: I vendicatori.
    Thompson è autore geniale, anche se la parola è ora abusata. proprio oggi vorrei iniziare a leggere Getaway. Killer inside of me lo lessi a suo tempo, ma devo riprenderlo in mano. Ricordo la scena in carcere, col giovane Pappas, e le infinite chiacchiere di Lou Ford. Adoro anche Notte selvaggia e Colpo di spugna, quest’ultimo ti fa ridere e inorridire al tempo stesso.
    Senza Thompson, ci potremmo sognare di avere Lansdale, e questo è tutto dire!

    • Golding sisteneva che il suo Il signore delle mosche gli fosse stato suggerito dall’osservazione dei bambini… Non aveva torto, sono degli esserini perfidi ed egoisti, altro che storie! Su King non mi pronuncio, non riesce proprio a piacermi. Anche per me The Killer Inside Me è stata un rilettura motivata dall’uscita del film. Mi sono accorto che a sette anni dalla lettura non mi ricordavo una benamata mazza…La parola geniale è abusata, ma non per Thompson, per altri pseudogeni o sedicenti tali. Senza Thompson, quoto Sartoris qui sotto, non avremmo molti scrittori, tanti bei libri e ne sapremmo un po’ meno su tutto.

      • Vitandrea in ha detto:

        Tra parentesi, ho appena trovato in libreria il nuovo libro di King, Notte buia, senza stelle. Devo comprarlo, ma ora mi tappo la bocca!

  2. @Vitandrea, senza Thompson ci potremmo sognare di avere un saaaaacco di scrittori odierni 🙂

  3. Pingback: L'assassino che è in me (The Killer Inside Me) – Jim Thompson …

  4. Vitandrea in ha detto:

    Vero, Sartoris. Ma il primo a cui ho pensato è Lansdale, il mio preferito!

  5. Fabio Lotti in ha detto:

    Aggiungerei alla bella recensione (clap, clap) un paio di spunti. Il protagonista cerca un contatto con il lettore, quasi una sua approvazione all’INEVITABILITA’ del Male e lo coinvolge direttamente nelle sue elucubrazioni. La prosa di Thompson, per paradosso, non c’è, non esiste, noi leggiamo e non ci accorgiamo di questa sovrastruttura. Un esempio per certi pseudoscrittori, uomini e donne, ridondanti da fa’ casca’ le palle.

    • Guarda, Fabio, sono convinto che a Lou Ford del contatto col lettore non freghi un accidente. Da bravo psicopatico, lui sta solo tentando di prendere per il culo tutti quanti (non escluso se stesso). Non è un caso che i personaggi del romanzo si dividano tra chi dà retta alle sue elucubrazioni e chi non lo prende sul serio (come succede, per esempio, nel bel romanzo di Francis Iles/Anthony Berkeley “Trial and Error,” del 1937, in cui un tizio – cui la malattia lascia pochi mesi di vita – decide di uccidere una persona per farsi giustiziare dal boia, ma non riesce a far credere a nessuno che l’assassino sia lui).

      Quello del “narratore inattendibile” è un vecchio trucco di Thompson, che l’ha usato diverse volte nei suoi romanzi, così come una vecchia passione di Agatha Christie (in due libri, forse più). La cosa buffa, per quanto mi riguarda, è che trovo singolari somiglianze di narrazione tra il Lou Ford di Thompson e lo Humbert Humbert di Nabokov (in “Lolita,” per intenderci). E che i due romanzi siano pressoché contemporanei: quello di Thompson è uscito nel 1952, quello di Nabokov è stato scritto nel 1953 e pubblicato un paio d’anni dopo.

  6. @Luca, si trova in giro ‘sto «Trial and Error»? Mi sembra un plot assai intrigante…
    (quoto la tua similitudine tra Ford e Humbert:-)

    • No, Omar, è uno dei pochissimi romanzi di Berkeley ancora inediti in italiano.Peccato, perché è un capolavoro, un romanzo cattivissimo scritto da uno dei più grandi autori di gialli classici che, a un certo punto della vita, si è stufato e ha iniziato a scrivere libri dal punto di vista dell’assassino.

      Berkeley, a quanto raccontano i suoi colleghi dell’epoca, era un autentico figlio di puttana:-)

      Nel 1939, a 46 anni, ha smesso di fare lo scrittore (è morto nel 1971 a 78 anni) perché, a sentir lui, i suoi libri vendevano troppo e gli facevano pagare troppe tasse…

  7. Vitandrea in ha detto:

    In Thompson ho trovato stupendo il modo di raccontare le ultime pagine di Notte selvaggia. Vorrei parlarne esplicitamente, ma non mi permetto di rovinare il piacere della lettura di questo libro bellissimo. Dico solo che ci voleva un matto come Thompson per usare le parole in quel modo. Dannazione, vorrei dire di più!

  8. @Fabio e Luca: anche secondo me Ford – e quindi Thompson – mica è tanto interessato ad avere un contatto con il lettore. Quando Thompson glielo fa fare o gli fa accennare qualche ammiccamento fuori dalla pagina è per rinsaldare quel rapporto empatico, quell’entrare nella testa di un folle assassino che è, nella mia lettura di questo libro, il fulcro di tutta la vicenda. Certo, Ford prende per il culo tutto quelli che gli stanno intorno, ma non il lettore con il quale, all’opposto, si apre completamente, ci spiega il suo trauma e il suo tentativo di razionalizzazione di questo episodio, i suoi trucchetti con Amy, Bob, Pappas e gli altri. Il tutto, ovviamente, è a mio avviso un espediente usato da Thompson per descrivere la mente di un pazzo, per questo anche l’uso della prima persona è particolarmente efficace. Diversamente si sarebbe dovuto ricorrere a un processo, diciamo così, inferenziale, dalle azioni a ritroso, indiretto. Qui, invece, tutto è sul piatto e non manca nulla, a voi la testa di Luo Ford. In un processo simile per forza il narratore è inattendibile e la prosa sfumata: il nostro cervello non funziona per algoritmi e mica diciamo tutto quello che ci passa per la testa, no? Altrimenti saremmo affetti da una sindrome frontale o da quella di Tourette. Ma chissà che passa, invece, in quelle nostre testacce ogni giorno e che lì rimane (per fortuna)!

    Fabio: grazie per il clap clpa! 🙂

    • Andrea, la tua è una lettura che non mi trova d’accordo. Il gioco di Thompson è molto più sottile: Ford manipola l’eventuale lettore (perché non è detto che ci sia) esattamente come se fosse un’altra delle sue vittime. Chi legge è il testimone uditivo di qualcosa che probabilmente non doveva neanche ascoltare, una sorta di equivoco flusso di coscienza che e la sua unica ragione d’essere è quella di far funzionare il meccanismo narrativo, un po’ come succede nel Grande Orologio di Kenneth Fearing, dove se non ci fosse il lettore a rimettere assieme i pezzi della vicenda – che si svolge su piani paralleli – non ci sarebbe neanche la storia.

      • Mmmm, capisco quello che vuoi dire Luca, però rimango convinto che il vero punto forte di questo romanzo sia il tragitto all’interno della mente di un folle omicida senza alcun filtro narrativo, cioè senza l’interposizione dell’autore e della sua possibile mediazione o manipolazione degli eventi. Secondo me era pure questo l’intento, conscio o inconscio di Thompson, anche se non so se magari c’è qualche documento scritto dallo stesso scrittore in cui si parli di questo libro, della sua genesi, fini etc. Il libro di Fearing ammetto di non conoscerlo e quindi non posso fare paragoni, però a me la storia pare piuttosto lineare per quello che può essere lineare il pensiero umano, come dicevo prima. Alla fine il lettore non è che debba mettere insieme i pezzi della vicenda, i fatti sono chiari, non c’è mistero se non, appunto, il mistero del ragionamento umano, in questo caso folle e assassino, così come Ford manipola Bob o Amy e il lettore lo sa che li sta manipolando, perchè è lì dentro la sua testa. Questo per me è già moltissimo, non mi spingo a ipotizzare una manipolazione della manipolazione, ma qui, ovviamente, siamo nel campo delle interpretazioni personali di una stessa opera e il bello è proprio che ognuno lo fa a modo suo! E la possibilità di molteplici piani di lettura, giusti o sbagliati che siano, dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, l’ulteriore grandezza di questo libro. 🙂

  9. Fabio Lotti in ha detto:

    Caro Luca “cercare un contatto” è una espressione poco felice per dire, comunque, che volente o nolente, che ci prenda in giro o meno, ci tira dentro la storia. Spero di essere stato più chiaro. Tutto fila via in modo così “semplice”, così naturale…Sto scrivendo una breve recensione leggerina (come è nel mio stile da moribondo) dal probabile titolo “La terribile semplicità del male”.

    • Beh, sì, indubbiamento, come ho già anche detto, Thompson fa di tutto per farci entrare nella mente di Ford in maniera diretta, senza mediazione da parte dello scrittore stesso, che scompare e noi sappiamo quello sa Ford e sappiamo più di quello che sanno gli altri personaggi del romanzo. Fabio, rimango in attesa di leggere la tua recensione allora!

  10. Fabio Lotti in ha detto:

    Precisazione. Ho in mente di scrivere, perché ancora devo buttare giù qualcosa sul bruttissimo (per me, si capisce) “L’uomo che scherzava” di E. Wallace. E poi devo seguire il Campionato italiano di scacchi che è proprio a Siena!!!

  11. Sì Thompson influenza molti, ad esempio il nuovo GIschler, per ammissione stessa dell’autore, pesca a piene mani da Thompson anche se poi be’ c’è un’originalità tutta Victoriana, e poi anche quell’autore di cui mi sfugge il nome di cui pubblichiamo quel libro a maggio…mmmm… come si chiama…be’ comqnque Thompson è un grande autore e Casey Affleck non è all’altezza ma si fa quel che si può, un plauso comuqnue a chi ha provato a trarre un film da un simile libro anche se l’ultimo bel film tratto da un noir con gli zebedei è Killshot, ma lì c’è Mickey Rourke e quando c’è Mickey non ce n’è per nessuno!

    • Non so perchè ma io ci avrei visto benissimo Edward Norton al posto di Affleck, secondo me era più appropriato per questo ruolo così complesso e ambiguo… Su Killshot il film, però, io avrei qualche riserva, come ho scritto pure nella mia recensione qui su Pegasus Descending: Rourke interpreta una prova immensa, bravissimo, ma il finale del film banalizza completamente il finale di Leonard. Elmore nel finale del libro – che non voglio svelare per chi dovesse ancora leggere il libro o vedere il film – ci aveva messo un bel carico da novanta dal punto di vista concettuale, a mio avviso, mentre nel film c’è la solita cagatina banale banale…

      Ah, Matteo, una cosa: mi sa che ti stanno suonando alla porta di casa. E’ Lou Ford…salutamelo!

  12. @ Matteo, io appoggerei qualsiasi tua opinione solo in virtù della comune adorazione rourkiana, però – a parte questo caso su cui ancora non mi esprimo non avendo visto il film – su Casey Affleck non ci andrei così duro: la sua staticità espressiva è calibratissima, pensata per ingannare lo spettatore sui suoi intenti: ne L’ASSASSINO DI JESSE JAMES (film odiato da molti ma secondo spettacolare) interpreta alla grandissima il codardo che uccise il bandito e lo fa ponendosi in chiave antitetica rispetto al pur bravo Brad Pitt…

    PS aggiungo pure che – vista la rivalutazione del solitamente insulso fratello Ben grazie al bel THE TOWN – io ci starei attento, agli Affleck: secondo me in futuro daranno alla causa del Grande Cinema e a quella del Grande Noir ancora tanto:-)

    • Allora, L’assassino di Jesse James, dicevamo: Casettino fa la sua figura però, insomma, spettacolare direi così così…è vero tutto, però il film manca completamente di ritmo – e vabbè che lo vidi al cinema con la febbre mezzo moribondo nel giorno del mio compleanno -. La sua inespressività secondo me è un po’ figlia dei suoi limiti piuttosto che di una studiata sceneggiatura. Puoi avere due espressioni se sei Eastwood o Bronson, ma l’Affleckino non ha il fisico, inteso come statura attoriale. The Killer Inside Me non l’ho visto, aspetterò il dvd, e quindi non mi pronuncio, però anche dal trailer e spezzoni, insomma…Ben è meglio, però anche lì, c’è di meglio in giro, dai… The Town mi incuriosisce, non l’ho visto (dvd anche qui…) e forse rende più regista che come attore, chissà.

      • Il film di Dominik è secondo me una splendida elegia, si pone nei confronti di un personaggio che in patria viene considerato come un Robin Hood della Guerra di Secessione in maniera del tutto innovativa e demitizzante (forse noi italiani non sentiamo la medesima vibrazione, ma per loro Jesse James è una commistione di violenza ed eroismo assai lontana dalla semplice iconografia del bandito del west). E in quel film (splendidamente musicato dal violino di Warren Ellis e le melodie di Nick Cave) assistiamo ad un volontario abbattimento dei canoni del film d’azione (addirittura c’è una rapina ad un treno in cui non succede nulla) per affrontare di petto la psicologia dei protagonisti della storia (che in USA, ricordiamocelo, è anche SToria con la S maiuscola). Vabe’, ne ho parlato tempo fa sul mio blog ma ora che ci penso è ora di ricicciare quella recensione:-)

      • Ma il Warren Ellis di Con tanta benzina in vena! No, dai, sto scherzando… 🙂

  13. Mah, a me il film di Winterbottom non è piaciuto neanche un po’. Anzi, mi ha fatto persino rivalutare la vecchia versione del 1976 diretta da Burt Kennedy, in cui Lou Ford era interpretato da Stacy Keach (tutt’altra categoria, rispetto a Casey Affleck) e che, almeno, era un vero film di serie B e non si vergognava ad ammetterlo.

    Il problema di Killshot, invece, è che nella versione cinematografica è stata largamente modificata la trama e, soprattutto, cambiato il finale; tanto che Elmore Leonard sì è incazzato come una iena cercando addirittura di far togliere il proprio nome dai titoli di testa del film…

  14. Vitandrea in ha detto:

    Dico la mia sul film (che non vedrò), o meglio, sul trailer. Rischiando di far la parte del vecchio (a 29 anni). Delude. Perché è tutto tanto, troppo, patinato. Ma che faccia fa Affleck nella locandina con quell’espressione: guardatemi quanto sono psicopatico e belloccio. E anche le donne, bellissime per carità, ma davvero poco credibile che siano donne da provincia americana. Tutti e tre gli attori hanno la scritta sulla fronte: Hollywood. Tristezza. Si sta perdendo la capacità di usare le facce giuste per determinate storie.

    • Riflessione interessante Vitandrea… sul film dirò la mia tra, penso, circa tre mesi, quando uscirà a noleggio. Sempre che Blockbuster esista ancora, ovviamente. Ma questa è un’altra storia.

      • Walt in ha detto:

        Ieri sera ho visto il film (e da pochi giorni ho finito di leggere il libro): totalmente deludente. Intendiamoci, attori bravissimi, casting eccezionale così come i costumi, le locations, la fotografia e anche la regia, ma è la sceneggiatura che non esiste, è diventata una specie di fiction poziesca per la tv americana, assai ben confezionata. Ma, rispetto al libro, manca totalmente l’introspezione di Ford, manca il suo travaglio interiore e le contraddizioni e le esperienze che lo portano a essere quello che è, manca completamente il lungo percorso con la sua fidanzata e, soprattutto, manca la dicotomia tra il suo essere e il suo apparire nella comunità (perchè si ammazza lo sceriffo?) in più sono stati tagliati passaggi essenziali per avere un quadro d’insieme leggibile e comprensibile, mi chiedo che impressione ne ricavino gli spettatori che non hanno letto il libro, e infatti in sala mugugni assortiti. In quanto agli attori, Casey Affleck è perfetto (e molto bravo) per la parte, la sua fidanzata pure, mentre Jessica Alba è troppo una bella figa per fare la parte di una prostituta in un piccolo paese dimenticato da Dio (in ogni caso va detto che è di una bellezza e di un sex-appeal straordinario) PS. D’accordo con Matteo, mettetemi Mickey Rourke con Boldi e DeSica e anche un cinepanettone di merda per me diventa un capolavoro eheheh

      • Grazie Walt! Mi sa che la tua delusione è condivisa da molti tra quelli che hanno letto il libro e frequentano queste pagine web… Alla fine c’è anche da aspettarselo: ma come si può portare sullo schermi un romanzo del genere? Secondo me è impossibile. Non basta il titolo di richiamo per fare un buon film. Poi ci sarebbe la storia delle sceneggiatura originali, cioè nate per il cinema, ma questo è un discorso che mi riprometto di affrontare non appena avrò un buco. Anche nel bel Non è un paese per vecchi – il film – la parte introspettiva dello sceriffo (Bell? Vado a memoria) interpretato da un bravo Tommy Lee Jones è quasi completamente tagliata, impoverendo di molto il film, perchè è tagliata una parte fondamentale del libro. D’altra parte era veramente difficile riportare dei monologhi. Stessa cosa per questo The Killer Inside Me. Vogliamo, una volta per tutte, lasciare la letteratura alla letteratura e tornare a scrivere per il cinema? Ne riparleremo, ne riparleremo.

  15. Valter in ha detto:

    Una vera delusione questo film

    • Mi sa che ormai le prove sono schiaccianti, i pollici versi sono ormai numerosi, troppi. Ripeto: se i registi si mettessero in testa di girare storie originali, forse, farebbero qualche buco nell’acqua in meno. Dai, per fortuna ci resta il romanzo di Thompson, alla fine è quello che conta!

  16. Valter in ha detto:

    Quello è un gran romanzo! Ho letto varie recensioni sui quotidiani che apprezzavano la recitazione (non il film cmq) : a me anche gli attori hanno deluso ( e parecchio)

    • Io, invece, mi sono visto ieri sera in dvd il bellissimo North Face del tedesco Philipp Stolzl. un film che oserei definire “sorprendente” ed “epico”. Veramente molto bello, lo consiglierò a spron battuto ai clienti del Blockbuster.

      Fammi poi sapere che ne pensi de I corpi neri di Shannon Burke – di cui ho ancora una intervista da tradurre, non ce la faccio Valter, non ce la faccio…uff – e su cui sta lavorando Darren Aronofsky, regista su ci non ho bisogno di spendere alcuna parola…

  17. Valter in ha detto:

    Ahhhh,,, quindi ti sei accorto che ancora una volta ho seguito un tuo consiglio..leggero’
    quanto prima I corpi neri e ti faro’ sapere
    North Face é stato il primo film che ho visto alla riapertura della stagione cinematografica
    (come è lontano agosto! :D) : consiglialo ai clienti senza indugi, a Genova ha avuto un buon successo di pubblico soprattutto nei cineclub per passaparola . Davvero una bella sorpresa, come spesso accade per questi film poco pubblicizzati

  18. Fabio Lotti in ha detto:

    Una mia “interpretazione” particolare su http://corpifreddi.blogspot.com/2010/12/killer-inside-me-jim-thompson-fanucci.html . Mi piacerebbe conoscere l’opinione di Pegasus e di qualche altro lettore, fra cui in primis quella di Luca Conti, se ne hanno voglia. Andateci piano…:)

    • Fabio, ho postato un commento sul blog dei Corpo Freddi! Io non l’ho trovata male, la recensione, forse ha il limite d’essere poco chiara per chi non ha letto il libro o non lo conosce! O, magari, questo è un pregio, un qualcosa in grado di incuriosire e stuzzicare la lettura!

  19. Fabio Lotti in ha detto:

    Ti ringrazio per l’intervento e l’incoraggiamento…:)

  20. Pingback: The Killer Inside Me – regia di Michael Winterbottom « Pegasus Descending

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