Pegasus Descending

Pulp, thriller, hard boiled, noir

Niente da perdere – Lee Child

Niente da perdere

NIENTE DA PERDERE
di Lee Child
ed.
Longanesi
Traduzione di Adria Tissoni

Lee Child deve dire la verità: il suo personaggio seriale, il gragnuolatore di mazzate Jack Reacher, altri non è, in realtà e sotto mentite spoglie, se non Steven Seagal. È lui, non può essere altrimenti. Alto un metro e novanta e passa, capelli un po’ lunghi, centodieci chili di muscolazzi assassini, ficcanaso che non riesce a farsi i cazzi suoi non appena sente anche il solo velato olezzo dell’ingiustizia e uno che, a differenza della vita quotidiana, dà un sacco di botte ma non le prende mai. Infallibile.

Anche in Niente da perdere, ultimo capitolo, il dodicesimo, di quella che ormai è diventata una saga che inseguendo il buon vecchio Jack ci consente di gironzolare con lui per mezza America, Reacher va a sbattere contro i cattivi. Cioè, non è che lui se le cerchi, per carità. Questo è una macchina da guerra che se va per i fattacci suoi in giro per gli States e questa volta, non avendo niente di meglio da fare, si mette le scarpe, infila due mutande e tre calzini nello zaino, inforca la carta di credito e si mette in testa di percorrere la diagonale che dal Nord-Est giunge fino al Sud-Ovest. Così. Voi per rilassarvi andate al cinema o in piscina? Jack Reacher no. Ma voi, giustamente, non siete Jack Reacher. Non fa una grinza.

Scroccando un passaggio qua e uno là, arriva fino alla cittadina di Hope. Quattro passi – che per noi significano un paio di decine di chilometri almeno – e giunge a Despair. Perché? Così, aveva voglia di un caffè. Si ferma nell’unico bar della cittadina e già la cameriera gli fa girare le balle perché serve tutti tranne lui. E già vedo i tavoli che volano. Come se ciò non bastasse nel giro di pochi minuti viene raggiunto da quattro poliziotto ausiliari di Despair che gli contestano l’accusa di vagabondaggio. Non ha un lavoro e i visitatori in questo buco di culo in mezzo all’America, sperduto in mezzo al deserto, non amano, e chissà perché, i turisti. Tanto non c’è niente da vedere. Mazzate e tavoli che volano, arresto di prammatica e Jack viene ributtato sul confine che divide il buco di culo dalla amena Hope. Qui, ad attenderlo, trova la poliziotta Vaughan, che oltre ad essere gentile e simpatica è pure bella. Non so perché ma il vostro recensore se l’è immaginata un po’ come Sienna Miller.

I due flirtano, passano un sacco di tempo insieme e fanno cose, rivelandosi, in parte, i rispettivi e più reconditi segreti e le spine ancora conficcate nelle zampe. Ma Reacher lo conoscete, non può mica permettersi di essere buttato impunemente fuori da una città e lasciare che l’amministrazione di quest’ultima se la cavi con solo un paio di tavoli rotti. E poi, perché tanto scazzo per uno che altro non voleva se non prendere un caffè in pace, riposarsi mezz’ora e poi riprendere la sua strada? Ma con tutti quelli che c’erano proprio a Jack Reacher dovevano andare a scassare le palle? Il centro del romanzo è il seguente dialogo, il motivo scatenante di tutta una serie di inseguimenti, mazzate, interminabili peregrinazioni a piedi di qua e di là tra Hope e Despair: <<Perciò ci chiediamo: perché è così ansioso di sapere che cosa succede qui? >>. <<E io mi chiedo: perché siete così ansiosi di nasconderlo?>>. Già, perché?

Lee Child è un professionista serio, uno che sa scrivere un romanzo. In Niente da perdere cala il proprio personaggio all’interno di una storia che oscilla continuamente tra tutte le paure dell’America di oggi, con i suoi molti non detti e le cose che la massa non deve vedere continuando, piuttosto,  a mangiare hamburger e guardare il Saturday Night Live, e la narrazione di una periferia che, a ‘sto punto è uguale un po’ in tutto il mondo, stante la sua chiusura e la sua avversione a persone e cose che possano non dico perturbare lo status quo, ma far vedere che esiste un mondo oltre il proprio naso. Cosa assolutamente non scontata. Con l’unica differenza che nei nostri paeselli dobbiamo al massimo vedercela con qualche geometra o qualche ministro a cui ignoti pagano la casa. Buon per lui. Negli USA, invece, trovi ad ogni cantone un pirlone che parla a nome di Dio e in suo nome straccia i maroni a tutti con storie quali il peccato, la redenzione, la morte, Dio vi guarda, per favore un’offerta per la nuova chiesa. Cento dollari? Dai peccatore, non fare il mortaccione davanti a Dio, l’avarizia è un peccato. E inoltre devo pure costruire una dependance dietro l’abside – le chiese hanno ancora l’abside? –  per il reverendo. Un po’ di sacrosanto riposo dopo aver portato al pascolo le anime, che diamine.

Niente da perdere va preso e letto per quello che è: un gran bel romanzo di intrattenimento, un action novel con un supereroe in carne e ossa più duro dei duri più duri. Già, proprio come Steven Seagal.

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11 pensieri su “Niente da perdere – Lee Child

  1. No, non è Seagal. Jack è biondo cenere non moro con codino truzzo… 🙂

  2. Comunque il libro mi è piaciuto.

    Ora sto leggendo il primo della serie, in inglese. 🙂

    • Anche a me è piaciuto, è come quei film a mezzanotte su Retequattro (ora sul digitale terrestre), tanta azione, botte e poco impegno. Io ho ancora mal di testa per l’inglese di Nisbet, scritto e, soprattutto, parlato…

  3. Pingback: Coming soon: Niente da perdere di Lee Child « Pegasus Descending

  4. paolo in ha detto:

    li ho letti tutti! Il vecchio Jack è duro, tosto, di poche parole, violento solo qb (quanto basta) essenziale, taciturno, leggermente misogino, comportamento marziale, look militare. Segal è un maraglio, mollaccione, sbrodolone, karateka citrullo, se un cattivo gli avesse sparato un sol colpo ce ne saremmo sbarazzati fin dal primo film. Separiamo il grano dal loglio!

  5. Reacher, non Reader! :-))

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  7. Jack Reacher non si paragona, Jack Reacher è Jack Reacher…sempre è comunque…al massimo sono gli altri ad essere come lui XD

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